di Mauro Ceruti*
Nuovi mondi. Per la prima volta nella sua storia l’umanità è obbligata a uscire dall’età della guerra e dello sfruttamento incondizionato dell’ambiente. Perché l’epoca dei giochi a somma zero è finita.
Una teoria del mondo contemporaneo deve prendere le mosse da una premessa: l’avventura della globalizzazione terrestre e dei cinquecento anni seguiti all’incontro colombiano. È da allora che stiamo partecipando alla nascita di una comunità planetaria. È da allora che si è capovolto il senso plurimillenario del popolamento umano della Terra. Da diasporico è diventato interdipendente. E lo è diventato sotto il segno di una profonda ambivalenza.
Ma, a partire dalla metà del Novecento, questa ambivalente interdipendenza ha assunto un nuovo significato. Che innanzitutto si è manifestato attraverso una possibilità inedita. L’esplosione atomica di Hiroshima, nel 1945, è stata la campana d’allarme di una possibilità fino ad allora inconcepibile: la possibilità dell’auto-annientamento globale dell’umanità. Questa inedita possibilità ha trasformato alla radice la condizione umana.
Questa possibilità di auto-annientamento ha di fatto generato un destino comune per tutti i popoli della Terra, tutti legati dagli stessi problemi di vita e di morte. È nata una comunità di destino planetaria.
La condizione umana, da allora ad oggi, è trasformata da un imprevisto e simultaneo aumento di potenza e di interdipendenza. Il rischio dell’auto-annientamento si è aggravato. Il rischio nucleare si è diffuso. Sono aumentate le possibilità dell’uso di armi nucleari in conflitti locali. E proprio in questi mesi la manaccia si è fatta drammatica. E poi la possibilità dell’auto-annientamento si è introdotta nel sempre più difficile rapporto con l’ambiente, che oggi si manifesta attraverso il volto inquietante del cambiamento climatico. La specie umana è diventata una «grande forza della natura”, decisiva per il suo stesso futuro in quanto specie biologica.
L’attuale inedita condizione umana mette in evidenza l’inadeguatezza del paradigma culturale e antropologico che continua a orientare le relazioni fra i popoli della Terra, nonché le relazioni dell’umanità intera con la Terra stessa. In maniera esasperata, l’ultimo secolo è stato prigioniero del paradigma che più di ogni altro ha alimentato la storia umana: il paradigma dei «giochi a somma nulla»: «vinco io, perdi tu; vinci tu, perdo io». Ciò è accaduto sia nel rapporto fra i popoli, sia all’interno delle singole società nazionali, sia nel rapporto uomo/ambiente: “giochi” in cui una parte vince a spese delle altre che perdono. Ma oggi, nell’età dell’interdipendenza planetaria, continuare questi “giochi” è disastroso, impossibile.
Gli attori dei “giochi a somma zero”, in realtà, oggi possono perdere tutti: il vero rischio è che non ci possano più essere vincitori e vinti, ma solo vinti.
L’umanità oggi, per la prima volta nella sua storia, «è obbligata» a uscire dall’età della guerra e dello sfruttamento incondizionato dell’ambiente. «È obbligata» a uscire dal paradigma dei «giochi a somma nulla» per generare un paradigma dei «giochi a somma positiva».
Si tratta di una profonda discontinuità nell’evoluzione della condizione umana.
L’uomo del futuro, ammoniva dalla Badia fiesolana Ernesto Balducci, sarà un uomo di pace o non sarà.
Oggi la sfida è proprio quella di iniziare a concepire la comunità planetaria in positivo. Bisogna concepire l’appartenenza comune a un intreccio globale di interdipendenze come l’unica condizione adeguata per garantire la qualità della vita e la sopravvivenza stessa dell’umanità. I problemi non conoscono i confini delle singole nazioni e delle singole aree del mondo: la stabilizzazione del clima, il mantenimento della biodiversità, la transizione alle energie rinnovabili, la lotta contro le povertà e per il rispetto e la valorizzazione della dignità umana, la promozione e la cura della salute…
Certo, nel corso dell’età moderna si era fatta strada l’idea di un’etica e di una politica per l’umanità nel suo insieme. L’umanesimo aveva però generato un universalismo astratto, fondato sulla ricerca di una natura umana che prescindesse da tutte le diversità.
Oggi per la prima volta nella storia umana l’ecumene terrestre è divenuta realtà concreta. Ed è in questo orizzonte che ci accingiamo a delineare un nuovo umanesimo planetario. Il nuovo umanesimo planetario, se sarà, sarà appunto prodotto dalla coscienza della comunità di destino che lega ormai tutti gli esseri umani e tutti i popoli del pianeta, e che lega l’umanità intera all’ecosistema globale e alla Terra.
L’universalismo che ne deriva non oppone la diversità all’unità. Questo universalismo si basa sul riconoscimento dell’unità nelle diversità umane e delle diversità nell’unità umana. Allo stesso tempo, questo universalismo è generato dal riconoscimento dell’unità dell’ecosistema globale entro la diversità degli ecosistemi locali e della diversità degli ecosistemi locali nell’unità dell’ecosistema globale.
L’approdo possibile di questo futuro ci obbliga a raccogliere la grande sfida dell’innovazione dettata “dalle viscere della necessità”, senza la quale l’umanità rischia di perdere sé stessa: la costruzione di una “comunità mondiale”. Una comunità mondiale che potrebbe nascere solo da un “factum unionis”, dalle pratiche di dialogo invece che di quelle della forza, e dalle pratiche di apprendimento comune nell’esperienza delle crisi planetarie.
Il tempo della complessità, in cui tutto è connesso, ci pone di fronte a due domande radicali. La prima: sta nascendo un’umanità planetaria? La seconda: può emergere una nuova umanità? Ciò che lega le due domande sta nel fatto che ciascuna costituisce la risposta all’altra. Un’umanità planetaria nascerà se emergerà una nuova umanità, se si trasformerà la sua cultura. Una nuova umanità emergerà se l’umanità diventerà planetaria, se giungerà a concepirsi nell’appartenenza concreta all’ecumene terrestre, se la sua ominazione diventata umanizzazione diventerà una nuova riumanizzazione.
Di fatto, Homo sapiens, nel corso della sua storia non è nato una volta, è nato più volte. E non è nato umano: ha “imparato”, più volte, a essere umano.
*in “Il sole 24 Ore” del 31 marzo 2024