Il gesuita Antonio Spadaro analizza la presenza dei cinque sensi nei Vangeli come manifestazione del divino
La Stampa - Tuttolibri - 06 luglio 2024
di Enzo Bianchi
I sensi sono vie di accesso alla realtà perché forme di comunicazione tra l’esterno e l’interno, sono come finestre aperte sul mondo, entro cui si manifesta la realtà attraverso la nostra percezione e interpretazione: le cose, infatti, non esistono in sé, ma sono sempre colte da una sensazione che le rende degne di essere percepite. Di fronte al mondo l’uomo non è mai soltanto un occhio, un orecchio, un naso, una bocca, una mano, ma è sempre sguardo, ascolto, olfatto, gusto, tatto, cioè un’attività dei sensi tutti, inseparabili l’uno dall’altro. Di più, le percezioni sensoriali si accompagnano alla parola, sono legate al linguaggio, senza però essere definitivamente subordinate ad esso, da esso dominabili.
Per ogni umano, venire al mondo significa acquisire un determinato stile di ascolto, di visione, di olfatto, di gusto, di tatto, uno stile proprio della comunità di appartenenza, ma uno stile personalizzato da ciascuno con la propria irripetibile unicità. Esistere significa affinare i sensi, a volte anche smentirli, per avvicinare sempre di più la realtà ambigua del mondo. Certo, le percezioni sensoriali non sono le uniche matrici della relazione al mondo, perché la ragione interviene in noi uomini a correggere, ad affinare e anche a convertire le nostre sensazioni: né percezioni senza ragione, dunque, né – come più spesso si è tentati di credere – ragione senza confronto con le percezioni!
Ed è proprio attraverso l’esperienza dei cinque sensi che Antonio Spadaro ha avuto l’intelligenza e l’audacia di rileggere la storia di Gesù di Nazareth. Da qui è nato Gesù in cinque sensi. Un racconto in carne e ossa, edito da Marsilio. Spadaro, gesuita, già direttore di Civiltà Cattolica e da alcuni mesi sottosegretario del Dicastero per la cultura e l’educazione, consegna il secondo volume di una triade da lui dedicata alla figura e al messaggio di Gesù. Gesù in cinque sensi è un libro originale e innovativo, che fa scoprire un modo sensuale di conoscere il Rabbi di Nazareth. Un Gesù corporeo, anzi carnale, che non mancherà di turbare i cattolici pii e devoti, addestrati a contemplare un Gesù celestiale, soprannaturale e ultraterreno. Spadaro ha preso sul serio l’antico adagio di Tertulliano “caro cardo salutis”, la carne è il cardine della salvezza. Sì, la carne di Gesù è il perno, il fulcro della salvezza, così che chi la evade è destinato a non raggiungere il centro della sua persona, del suo messaggio e della sua opera.
A giusto titolo Spadaro evidenzia come per questa sua “carnalità” Gesù sia stato per i suoi contemporanei un disadattato, una pietra di inciampo che ancora oggi rappresenta un ostacolo, un impedimento spesso per gli stessi cristiani. Allora come oggi il Nazareno non si adatta e non si conforma all’umana idea di religiosità.
Nella prefazione Liliana Cavani, non trovando altra definizione, descrive questo libro come un “film scritto”, riconoscendo che “nel testo di padre Spadaro si sviluppa dunque una specie di film muto, un film da leggere che diventa una meditazione profonda”. In effetti, il lettore ha la netta sensazione di ripercorrere i vangeli con gli occhi di una cinepresa particolarmente attenta a cogliere quello che accade sotto i suoi sensi. Se i sensi sono vie al senso, di pagina in pagina, anzi di senso in senso, il lettore accede a un nuovo e diverso livello di comprensione di Cristo. L’autore associa ai sensi un certo numero di episodi evangelici. Al gusto, ad esempio, collega il comando di Gesù “voi siete il sale della terra”. Non è un invito a essere sale ma una costatazione, una realtà. Con questa metafora Gesù ricorda che “la vita sensata e sapiente non è un’esistenza che perde gusto e che abbassa i toni, non è la mortificazione dei sapori. Semmai è una vita che non si accontenta del sapore ordinario, della minestra riscaldata, dell’ovvio… La vita evangelica ha il sapore robusto, decisa.
È scelta di abitare il mondo in modo pieno gustoso”. Per Gesù, dunque, la sapienza è un esercizio del gusto. Noi “sentiamo” attraverso i sensi, ma un’enorme carica simbolica viene a innestarsi sull’esercizio dei sensi. Ne sono prova le parole che usiamo: anche quando sono astratte, esse lasciano trasparire che la loro origine si colloca nello spazio della sensibilità. “Sapienza” – per citare solo uno dei casi più evidenti – non deriva forse dal verbo sapere, cioè «gustare»?
Spadaro al il non trascurabile merito di proporre letture non ovvie e interpretazioni non scontate dei racconti che i quattro Vangeli fanno di Gesù, mostrando come al cuore della fede non c’è semplicemente Dio come nell’Ebraismo o come nell’Islam. Al cuore della nostra fede non c’è Dio, ma c’è l’uomo-Dio, Gesù Cristo. E fa di tutto perché il lettore capisca la paradossalità di questa espressione proprio a partire dalla Bibbia, secondo la quale Dio è tutto ciò che non è uomo, è altro, è santo, è distinto da ciò che è in questo mondo, compresa l’umanità. E il Logos si è fatto sarx, cioè carne. Sarx indica l’umana condizione di fragilità, la condizione mortale. Dio in Gesù Cristo ha vissuto l’esperienza dell’umano, l’ha vissuta dal di dentro, facendo avvenire in sé l’alterità dell’uomo.
Il linguaggio di Gesù, la sua parola, i suoi atteggiamenti, l’operare, i sensi, le emozioni, gli abbracci, gli sguardi, le parole intrise di tenerezza e le invettive profetiche, le pazienti istruzioni e i ruvidi rimproveri ai discepoli, la stanchezza e la forza, la debolezza e il pianto, la sua libertà e la sua parresia, sono modalità in cui si è manifestata la sua umanità, ma sono anche finestre attraverso le quali noi abbiamo potuto percepire, cogliere, la rivelazione del divino. Sono riflessi luminosi che consentono di contemplare qualcosa di quel Dio che l’uomo non ha mai visto e non può vedere. È stata la pratica di umanità di Gesù che ha narrato Dio e che ha aperto una via per andare a Dio.
E così Gesù scandalizza ancora soprattutto i credenti in lui che sono disposti ad adorarlo cantando la sua grandezza e la sua onnipotenza ma, specularmente, cercano di dimenticare la sua umanità, la sua carnalità. Se per alcuni l’incarnazione coincide con il rendere Gesù “umano, troppo umano”, per altri, al contrario, proprio questo è il nucleo incandescente della fede: non si può mai più dire Dio senza l’uomo, né si può dire l’uomo senza Dio.
Questa è la fede cristiana in Gesù uomo e Dio, eppure si può comprendere come di fronte a questo grande mistero molti cristiani, in diverse chiese, abbiano faticato e fatichino tuttora a confessare la sua piena umanità. Sì, è più difficile credere alla piena, carnale umanità di Gesù che alla sua divinità. Eppure proprio il Gesù in cinque sensi, il Gesù umano, troppo umano, umanissimo, ha raccontato Dio e ha rivelato di essere lui stesso Dio.
Per chi può comprenderlo, l’avventura evangelica dei sensi che Spadaro offre non fa altro che presentare che in Gesù di Nazareth Dio si è mostrato come il solo essere pienamente umano. Questo non significa semplicemente che Dio è “moralmente” più umano degli uomini, i quali sono così spesso disumani, ma che “ontologicamente” gli è proprio di essere l’unico pienamente umano.