Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Dio parla al cuore. L’arte della preghiera

09/08/2024 00:00

ENZO BIANCHI

conferenze 2024,

Dio parla al cuore. L’arte della preghiera

ENZO BIANCHI

Pubblicato su:  Dossier di Vita Pastorale luglio 2024

 

di Enzo Bianchi

Da quando ho smesso di essere infante io prego tutti i giorni: ho imparato a pregare sulle ginocchia di mia madre, ho cominciato poi a pregare la preghiera del cristiano del mattino e della sera e dall’adolescenza in poi ho pregato soprattutto con la liturgia della Chiesa e, dunque, con i Salmi come faccio ancora adesso. La mia preghiera è cambiata negli anni, è diventata sempre più contemplativa, ricorro meno al libro e apro il mio cuore a volte arido, a volte turbolento, a volte sofferente, davanti a Cristo, al Dio di Gesù Cristo. Ormai vecchio ho conservato la fede e più ancora ho conservato e accresciuto un grande amore per Gesù Cristo il Signore, e tra molti dubbi avanzo verso l’incontro finale. Prego, ma ho una sola domanda: chiedo misericordia; prego, ma so che pregano tutte le creature, animate e inanimate; prego, ma so che il Signore ha pregato più me di quanto io abbia pregato lui.

 

Ho scritto molte pagine sulla preghiera, molti libri, e ho cercato di insegnare a pregare a quanti vivevano con me, ma sempre di più la preghiera m’è apparsa un mistero perché ho capito che nella fede cristiana è innanzitutto ascolto di Dio nel nostro intimo, e perché parlare a Dio è temerario e si rischia proprio di parlare molto per non ascoltarlo.

 

Non ci è naturale dire: «Parla Signore che il tuo servo ascolta!» (cf 1Sam 3,1-18). Ci è più facile dire: «Ascolta Signore che il tuo servo parla» (cf 1Sam 3,1-18).

 

E poi la preghiera è eloquenza della fede, ma questa a volte si fa debole, poca fede e addirittura mancanza di fede! Allora la preghiera può sembrare un’illusione, un parlare nel vuoto, un esercizio completamente mentale perché nessuno ascolta. Certo, allora, la preghiera resta sempre un monologo, una ricerca di orientamento, un pensare, un’auto chiarificazione che ha un suo valore umano, ma che non mette in relazione l’uomo e il suo Signore.

 

Tra la preghiera dei credenti in Dio e quella dei non credenti in Dio c’è un confine non chiaramente tracciato... E il fatto che la preghiera sia un fenomeno antropologico presente in tutte le religioni, in tutte le spiritualità e le culture, è significativo: gli umani pregano, hanno questo incredibile bisogno di gridare rivolgendosi a qualcuno, sentono il bisogno dell’invocazione.

 

Ma attenzione, soprattutto oggi in cui con superficialità si vorrebbe pregare insieme tra appartenenti a religioni diverse: c’è anche una preghiera idolatrica, una preghiera pagana, che non è secondo il Vangelo.

 

Il Vangelo di Gesù Cristo giudica anche la preghiera e chiede che sia secondo il canone del rapporto tra un Dio padre misericordioso e un figlio confidente. Non può mai essere ciò che vedeva Lucrezio, un “affaticare gli dèi”, non può essere magica, non può essere pretesa o imposizione a Dio dei nostri desideri e della nostra volontà.

 

La preghiera che i Vangeli riportano, solo insegnata da Gesù, il Padre nostro, è il canone, la regola della preghiera cristiana, un riassunto di tutto il Vangelo. Noi cristiani abbiamo la consapevolezza che quando preghiamo deve venire lo Spirito santo a pregare in noi insegnandoci, unendoci alla preghiera di Cristo e indirizzandoci al Padre: una preghiera che si apre alla comunione della vita divina! Se la preghiera che facciamo è questa allora lo Spirito santo ci rivela la volontà di Dio, ci sussurra nel cuore una parola avvolta nel silenzio che è la voce di Dio fatta voce della nostra coscienza e noi possiamo con confidenza piena dire “Abba!”, pronunciato in un modo che forse non abbiamo mai usato neppure rivolgendoci al nostro padre terreno.

 

Comprendiamo bene noi cristiani che pregare in modo autentico non coincide con un fare, un recitare preghiere. La preghiera coinvolge l’essere non il fare, non è un’attività tra le altre ma una dimensione, uno spazio in cui penetrare, è una relazione viva che si nutre di scoperte, nuove conoscenze, crescita dell’amore. È significativo che già nei Salmi l’orante quando vuole individuare sé stesso nel pregare arrivi a dire: «Io sono preghiera» (Sal 109,4) e che di Francesco d’Assisi, il somigliantissimo a Cristo, si sia detto che alla fine della vita non pregava ma era diventato preghiera. Solo così il nostro cuore è vicino a Dio. C’è una iniziazione alla preghiera cristiana? A partire dall’Antico Testamento per entrare in relazione con Dio il primo atteggiamento da assumere è quello dell’ascolto! Se il Dio che si rivela a Israele è “un Dio che parla” allora il credente, e di conseguenza il popolo, è colui che ascolta. Ascoltare significa non solo porgere l’orecchio per sentire ma protendere tutta la persona verso colui che parla.

 

Rendere la preghiera conforme al Vangelo

 

Ma attenzione, Dio parla nelle nostre profondità, nel cuore dice la Bibbia, là dove sono generati il parlare, il volere e l’operare. La sua voce è silenzio, e perciò va catturata con il silenzio: dev’esserci silenzio esteriore, ma soprattutto deve tacere l’ego sempre loquace e sempre soverchiante. La voce di Dio non si ascolta se non esercitandosi ad ascoltarla, invocandola, desiderandola, chiedendola e allora sarà originata nel cuore come voce della nostra coscienza.

 

Questa voce sarà innanzitutto quella che ascoltiamo e leggiamo nelle sante Scritture. L’assiduità

nell’ascolto della Parola ci abilita ad ascoltare la parola di Dio per noi qui e ora. Nell’accoglienza interiore della parola di Dio questa cresce con il lettore, come diceva Gregorio Magno, e apre a un’interpretazione infinita. Accade quel che illustra il Salmo come grazia nella preghiera del salmista:  Dio ha pronunciato una parola / due ne ho ascoltate: / a Dio appartiene la forza / a te, Signore, la grazia / e tu renderai a ogni uomo / secondo le sue azioni (Sal 62,12-13). E non si dimentichi che dall’ascolto nasce la fede, dalla fede la conoscenza di Dio, dalla conoscenza di Dio l’amore di Dio!

 

La parola ascoltata, meditata, pregata e contemplata è la preghiera per eccellenza, per la sinagoga e per la Chiesa! E la lettura orante della Parola è capace di plasmare tutta la vita del credente e della comunità cristiana.

 

Ma allora possiamo noi parlare a Dio? Se si ha l’avvertenza di rendere la preghiera conforme al Vangelo è certamente possibile. Ma si tenga presente che oggi con facilità, troppa facilità, anche nella liturgia ci sono abusi sedicenti creativi, preghiere che sono debitrici di magia, di riti di altre religioni che deificano la natura, preghiere che pretendono guarigioni e si ammantano di miracoli.

 

Il cristiano sa che può avere fiducia nel rapporto con Dio, che gli può esporre i suoi bisogni e le sue sofferenze, ma sempre affermando: «Sia fatta la volontà del Signore non la mia!». Gesù ce l’ha insegnato: «Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli tanto più il Padre darà lo Spirito santo a quelli che glielo chiederanno». Il Padre non darà le cose che i figli chiedono, anche se le cose richieste sono buone, ma darà certamente lo Spirito santo, darà forza e consolazione per attraversare le sofferenze e la morte stessa. Il cristiano nella preghiera porta tutta la sua persona, vi porta le relazioni, gli amori che vive, vi porta l’umanità. Beato chi fa silenzio su Dio, e parla invece di colui che ci ha narrato Dio, Gesù Cristo. Beato chi parla a Dio, perché il nostro Dio è un Padre, un amico al quale si può parlare.