Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

La venuta del Figlio dell'uomo nella gloria

12/11/2024 00:00

ENZO BIANCHI

Vangelo della domenica 2024,

La venuta del Figlio dell'uomo nella gloria

ENZO BIANCHI - 17/11/2024XXXIII domenica del tempo Ordinario

17 novembre 2024

 

XXXIII domenica del tempo Ordinario

 

di Enzo Bianchi

 

Mc 13,24-32

²⁴In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
²⁵le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

²⁶Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. ²⁷Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. ²⁸Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. ²⁹Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.³⁰In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. ³¹Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. ³²Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.

Se il credente sa leggere la storia, aderendo alla realtà quotidiana della vita umana e ascoltando la parola di Dio che sempre risuona nel suo oggi, allora sarà pronto per l’ora della venuta temibile e misericordiosa del Signore: un’ora che solo il Padre conosce, un’ora in cui i figli di Dio dispersi saranno finalmente una comunione, che non conoscerà più né morte, né male, né peccato.

 

Con questa domenica termina la lettura cursiva del vangelo secondo Marco, che abbiamo ascoltato nell’assemblea domenicale lungo tutta l’annata liturgica B.

 

Le parole di Gesù su cui oggi meditiamo sono quelle da lui pronunciate negli ultimi giorni della sua vita, prima della passione e morte; parole da lui rivolte sul monte degli Ulivi ai quattro discepoli della prima ora (cf. Mc 1,16-20), quelli a lui più vicini: Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea (cf. Mc 13,3). Il cosiddetto “discorso escatologico” è molto lungo – occupa tutto il capitolo 13 – e vuole essere una risposta alla domanda circa il tempo successivo alla vicenda terrena di Gesù: cosa accadrà? Servendosi di idee e immagini tratte dai libri profetici, Gesù annuncia che il tempio di Gerusalemme, che si ergeva maestoso davanti a lui e ai discepoli, andrà in rovina (cf. Mc 13,2), che ci saranno eventi che causeranno grande sofferenza agli umani (cf. Mc 13,5-23) e che alla fine – è il tema del nostro brano – il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria per compiere il giudizio ultimo e definitivo (cf. Mt 25,31-46). Questo discorso di Gesù è un messaggio in un linguaggio codificato, secondo il genere apocalittico, un linguaggio che vuole essere rivelativo, profetico, pur risultando a volte oscuro, di difficile interpretazione.

 

Noi ne leggiamo per l’appunto solo la parte finale, l’annuncio della venuta gloriosa del Messia, quando si sarà verificata la distruzione del tempio e sarà passato il tempo della storia, nella quale guerre, calamità e persecuzioni si faranno dolorosamente presenti nella vita di uomini e donne (come vediamo da che mondo è mondo…). Dopo la terribile prova che investirà l’intera umanità, il popolo di Israele e la chiesa del Signore, ci sarà uno sconvolgimento di tutto l’assetto dell’universo creato. Non lasciamoci spaventare dalle parole di Gesù, ma intimorire sì, perché essere rivelano la “verità” di questo mondo che Dio ha creato, voluto e sostenuto, ma che avrà un termine, una fine: come c’è una fine personale, la morte, così ci sarà una fine di questo mondo. Gesù vuole parlare di questi eventi, per rivelare una realtà dai tratti indescrivibili. La creazione subirà un processo di de-creazione, potremmo dire un ritorno all’in-principio (cf. Gen 1,1-2), ma in vista di una nuova creazione, di un mondo nuovo, con cieli e terra nuovi (cf. Is 65,17; 66,22; 2Pt 3,13; Ap 21,1). Queste immagini non vogliono significare distruzione, decomposizione, scomparsa della materia, ma la fine degli attuali assetti della creazione, in preda alla sofferenza, al male e alla morte, per una ri-creazione, una trasfigurazione che non riusciamo neppure a immaginare.

 

Ecco allora le immagini apocalittiche, ispirate da fenomeni che l’uomo contempla, ma che sono transitori, dunque non distruttori della vita: il sole che si eclissa definitivamente, la luna che perde la sua luce, le stelle che cadono dal cielo… Immagini evocatrici della fragilità dell’assetto del nostro universo, che non è eterno, che – come ci assicurano anche le scienze – ha avuto un inizio e avrà una fine. E tuttavia questo universo, che agli occhi dei credenti nel Signore Gesù “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22), è un universo voluto da Dio e che Dio salverà, trasfigurandolo in dimora del suo Regno.

 

Proprio in questa “crisi” cosmica si manifesterà il Figlio dell’uomo, farà la sua parusia in modo glorioso, venendo dai cieli, nella luce definitiva che vincerà per sempre le tenebre: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (cf. Dn 7,13-14). Lo ripeto: la venuta finale del Signore non nega la storia, ma vuole trasfigurare il nostro mondo. Ma in verità anche questo evento chi può descriverlo? I cristiani hanno dipinto o rappresentato in mosaici nelle absidi delle chiese il Veniente nella gloria, seduto sull’arcobaleno, giudice di tutto l’universo, Pantokrátor (2Cor 6,18; Ap 1,8; 4,8, ecc.), cioè colui che tiene insieme tutte le cose; ma nel farlo hanno dovuto ispirarsi alla parusia, all’ingresso glorioso dei re e degli imperatori, rivestendo il Figlio di Dio e Figlio dell’uomo dei tratti di una gloria umana.

 

In realtà, non sappiamo in che forma contempleremo il Signore veniente; possiamo solo dire che allora lo riconosceremo tutti, anche quelli che durante la loro vita non l’hanno mai riconosciuto nell’affamato, nell’assetato, nel malato, nello straniero, nel carcerato, nell’ignudo (cf. Mt 25,31-46). Anche quelli che hanno trafitto Gesù o hanno trafitto il povero, la vittima, allora lo riconosceranno, si batteranno il petto (cf. Ap 1,7) e capiranno che le trafitture inferte all’altro, al fratello o alla sorella, erano trafitture che raggiungevano il Signore, il quale ora si mostra giudice misericordioso ma temibile. Sarà quella anche l’ora del raduno di tutti gli eletti, i giusti, quelli che hanno vissuto esercitando fiducia nell’altro, sperando insieme agli altri, amando chi avevano accanto e, con il loro comportamento, rendevano prossimo, vicino. I figli di Dio dispersi saranno finalmente una comunione, che non conoscerà più né morte, né male, né peccato (cf. Is 35,10; Ap 21,4).

 

Quando questo accadrà (cf. Mc 13,4)? In un giorno che nessuno conosce, eppure è un giorno certo, è una promessa di Dio che si realizzerà. Non è il “quando” che conta, bensì la fiduciosa certezza di un futuro orientato dalla promessa del Signore: “Io vengo presto!” (Ap 22,20). I discepoli di Gesù non devono dunque chiedere “quando?”, ma devono piuttosto chiedersi se loro stessi saranno pronti ad accogliere quell’evento della parusia come salvezza, se saranno capaci di gioire davanti alla venuta del Figlio dell’uomo, se avranno saputo sperare con perseveranza in quell’ora: un’ora che è un segreto, perché neanche l’uomo Gesù la conosceva, e neppure gli angeli, ma solo il Padre. Per questo i credenti imparino a osservare la storia con spirito di discernimento, leggendo i “segni dei tempi”. Gesù, del resto, lo aveva constatato, con un certo stupore che è anche un’esortazione: “Sapete interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?” (Mt 16,3). Domanda che sempre ci intriga e accende la nostra responsabilità, chiamando in causa il nostro discernimento…

 

La venuta del Figlio dell’uomo sarà come l’estate che i contadini sanno prevedere, guardando soprattutto la pianta di fico: quando il fico, per il risalire della linfa, intenerisce i suoi rami e si aprono le gemme rimaste chiuse per tutto l’inverno, allora sta per scoppiare l’estate. Così, se il credente sa leggere la storia, aderendo alla realtà quotidiana della vita umana e ascoltando la parola di Dio che sempre risuona nel suo “oggi” (cf. Sal 95,7), allora sarà pronto per l’ora della venuta temibile e misericordiosa del Signore. Si tratta – come si legge nella conclusione del discorso (cf. Mc 13,33-37), quella con cui abbiamo aperto l’anno liturgico, nella I domenica d’Avvento – di vegliare, di restare vigilanti, desti, capaci di esercitare l’intelligenza per discernere e non essere trovati addormentati o spiritualmente intontiti…

 

Sarà la fine? Sì, ma quella fine porta un nome: è il Signore Gesù Cristo, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio, uomo e Dio che è venuto nel mondo, da Dio qual era (cf. Fil 2,6), per farsi uomo, e verrà nella gloria perché l’uomo diventi Dio. Allora, finalmente, Dio sarà tutto in tutti (cf. 1Cor 15,28): tutta l’umanità sarà in Dio e ognuno di noi sarà il Figlio di Dio.