Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Il "Cantico" celebra l'amore umano e la sposa è mistica ma anche erotica

14/03/2025 23:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2025,

Il "Cantico" celebra l'amore umano e la sposa è mistica ma anche erotica

La Stampa

Giulio Busi scandaglia quattro millenni di letteratura seguendo il simbolismo degli innamorati, dalla Bibbia a Celan

La Stampa - Tuttolibri - 15 marzo 2025

 

di Enzo Bianchi

“Mi baci con i baci della sua bocca! Sì, i tuoi abbracci mi eccitano più del vino”, è l’incipit del Cantico dei Cantici, ma anche idealmente l’incipit di ogni canto d’amore tanto mistico quanto profano, tanto spirituale quanto erotico. Esso esprime il desiderio di un bacio, di molti baci. Un poeta ebreo di origine russa, Salman Shneur (1887-1980), commenta: “Mia colomba, tu sai come ci baciamo noi ebrei? Quando il cuore non si distingue più dal cuore dell’altro, quando petto contro petto nessuno dei due sa chi dei due respira, quando materiale e immateriale spariscono e non resta che un solo soffio, quando non esistono più parole ma solo il parlare degli occhi: quello è il bacio”.

 

Il bacio è il volto contro volto, occhi contro occhi, lo stare di fronte dell’io e del tu con le pupille che si parlano, perché ci si osserva nelle pupille e le si vedono dilatarsi, palpitare. Il bacio è l’inizio della celebrazione dell’amore, è “désir d’ivresse” diceva Arhur Rimbaud, in cui l’amato è coppa per l’amata e viceversa. E con il bacio l’abbraccio, le carezze: la mano si apre, stende le dita e inizia un’esplorazione. La mano si fa carezza: più che toccare, innanzitutto ascolta, freme e cerca di ascoltare il fremito dell’amante. Baci e carezze sono i preludi (prae-ludus: prima del gioco), in modo da dilazionare il godimento che è sempre finale: gratuità del perdere tempo, insieme gioco di mani e di labbra, audacie, reticenze, stupore, le dita che carezzano, leggono, scrivono, cantano sul corpo dell’amante. Nel gioco amoroso si impara a dire sì, amen alla vita, alla gioia, all’eros, si esercita l’arcana disciplina del piacere.

 

Fa dunque un impressione costatare che per circa duemila anni, nell’ebraismo come nel cristianesimo, il Cantico dei Cantici è stato letto, commentato, interpretato unicamente come vicenda amorosa tra Dio e Israele, tra Cristo e la chiesa, tra Dio e l’anima. Solo alla metà del secolo scorso si è cominciato a trovarvi l’aspetto più elementare, quello letterale, cioè comprendere che è un libretto che parla dell’amore umano. Poco per volta, l’interpretazione allegorica e spirituale perde vigore, e oggi tutti gli esegeti sono d’accordo che la vicenda illustrata nel Cantico sia una vicenda amorosa, neppure sponsale, una vicenda di due giovani innamorati che si rincorrono obbedendo all’amore, all’eros che li abita.

 

Occorre pertanto ascoltare nel Cantico dei cantici l’amore umano ed erotico, quell’amore che è legge a sé stesso, quell’amore che sa lui quando svegliarsi, come ardere e come inverarsi, quell’amore che è una fiammata divina, un roveto ardente, come sta scritto alla fine di questo libretto. San Girolamo, considerando il Cantico come un poema erotico, scriveva che dovrebbe essere letto dopo i sessant’anni, solo allora è possibile praticare la sua lettura come poema d’amore umano!

 

Giulio Busi i sessant’anni li ha da poco superati e forse è per questo, ma certamente non solo per questo, che proprio a partire dal Cantico dei cantici ha ideato per “I millenni” di Einaudi La sposa mistica, Corpi terreni, erotismo divino dal “Cantico dei Cantici” a Paul Celan. ““Mi baci con i baci della sua bocca!”. Da qui, da questa pretesa – scrive Busi nell’introduzione – irruente e perentoria, prende l’avvio il nostro corteggiamento. Tutto il volume s’ispira all’esortazione, scritta in ebraico più di duemila anni fa, ripetuta nelle sinagoghe e nei chiostri, centellinata dagli esegeti, scandagliata da cabbalisti, vagheggiata dai poeti. La tradizione occidentale della sposa mistica, così estesa, variegata, lussureggiante, non esisterebbe senza il paradosso del Cantico dei cantici”. 

 

Questo volume è molto di più di un’antologia di scritti unici e straordinari, è una libera creazione di un geniale intellettuale che per la prima volta raccoglie testi di ogni epoca attorno a un tema fondamentale ma troppo spesso dimenticato: la sposa mistica. Il simbolismo della sposa mistica e un fenomeno letterario che possiede più di quattromila anni di storia. I più duecento testi e quasi altrettanti autori raccolti da Busi – impreziositi dalle tavole di Hilma af Klint – spaziano geograficamente dall’Antico Egitto, alla Mesopotamia, dalla Cina all’India, dalla tradizione ebraica biblica e rabbinica, a quella araba con il Corano e i sufi, a quella cristiana con i vangeli, i padri della chiesa e i mistici, per giungere alla letteratura europea con autori greci e latini, con scrittori, poeti, romanzieri medioevali, moderni e contemporanei. Ed ecco allora la Matrice divina del mito semitico e la poesia alla madre di Paul Celan, il borbottare tra sé dell’arcangelo Gabriele di Giovanni Damasceno e il “So che t’avrei amata, e so che tu lo sai” di Charles Baudelaire, l’anima Afrodite di Plotino e gli antichi testi bizantini raccolti da Cristina Campo. E poi ancora il Talmud, Apuleio, Kabir, Angela da Foligno, Enlil e Ninlil, Aelredo di Rievaulx, Sefer ha-zohar, Alda Merini, Italo Calvino, Arthur Rimbaud, Franz Kafka e molti altri che si susseguono non in asettico ordine cronologico ma in un’acutissima sequenza di ciò che la sposa mistica è e rappresenta. Millenni fa come oggi ecco la fluida nel genere, perché la sposa mistica è maschio e femmina, ma anche figlia, sorella, madre e padre e anima. La sposa mistica è il suo corpo: e allora i testi si raccolgono attorno ai capelli,  occhi, naso, bocca, labbra, denti, seno, grembo, vagina … La sposa mistica è sapienza, regina, città, fiore, notte, luna … Essa è nascosta, attende, ride, s’innamora, danza, bacia … E in fine si sposa, è amante e amata, gode, concepisce, partorisce … muore, è in paradiso, rinasce. Ideando questa sorprendente raccolta di testi noti e meno noti, Giulio Busi ha composto una sinfonia di corpi e anime, di forme e gesti, di movimenti e sentimenti, di colori, odori e sapori. 

 

In questi inesauribili scritti si incontrano mondi, si parlano universi, eppure talvolta rimane quell’irriducibile distanza che è riflesso dell’esperienza di vita della sposa mistica che unisce e al tempo stesso divide mondi lontani e inconciliabili. Il mondo terreno e il mondo divino nel desiderio dei due amanti paiono spesso incapaci di comunicare tra loro, perché è amore tra due cosmi, due sfere dell’essere. Ma niente e nessuno impedisce agli amanti di desiderarsi, di cercarsi, di trovarsi, di amarsi. 

 

L’opera di Giulio Busi mi ha insegnato che raccontare l’amore è un’arte. Dell’amore ne parlano tutti; nel tempo in cui viviamo – che solo dei dissennati credono che sia dominato da una sorta di pansessualismo – l’amore è parlato, ostentato, mostrato ma poco esperito. Se fosse davvero esperito non ci sarebbe tanta letteratura né sarebbe il caso di mostrare quel che costantemente viene proposto dai mass-media. Non è vero che c’è un pansessualismo dominante, piuttosto oggi c’è una senescenza precoce dei sensi, c’è un’impotenza dilagante sempre di più di tipo sessuale, ma proprio perché a questo amore è difficile accedervi con autenticità ed è difficile parlarne in maniera veritiera.

 

Ben consapevole che ogni definizione dell’amore è temeraria, tuttavia faccio mia quella che Busi dà dell’amore delle “sue” spose: “E poiché l’amore è per sua natura “evento” e ha bisogno di bruciare per esistere, l’insegnamento delle spose, racchiuso tra queste pagine, andrà letto come un manuale d’erotismo. Un manuale corposo, trasgressivo e, speriamo, misticamente pratico”.