di Massimo Cacciari*
Nei commenti e nelle discussioni intorno al Conclave che si apre per la successione a papa Bergoglio sembra mancare una piena coscienza del significato e del peso che le vicende della Chiesa cattolica possono avere sui destini politici dell'Europa e dell'intero Occidente. O forse che non possono più avere – e anche questo segnerebbe radicalmente il nostro tempo.
La cattolicità, e cioè l'universalità dell'Annuncio cristiano, rivolto a tutte le genti, di ogni cultura, tradizione, lingua, oltre ogni confine statuale o istituzionale, si è salvata, pur tra mille contraddizioni, per l'opera della Chiesa di Roma. Il carattere nazionale, l'integrazione a sistemi politici determinati hanno finito col prevalere in tutte le altre confessioni. Testimonianze di grande valore teologico e filosofico sul significato di quell'Annuncio si esprimono certo anche dal loro interno, ma appunto come testimonianze, spesso in antitesi con lo spirito e l'azione delle loro Chiese. In quella di Roma si tratta invece di grande forma politica: non c'è Cristianità senza di essa; non c'è salvezza senza la Chiesa universale. La stessa forma-Stato del Moderno, che lo spirito europeo "inventa", vorrebbe, alle sue origini, imitare tale grandiosa idea e, anzi, competere con essa: l'individuo perderebbe ogni sostanzialità se non si riconoscesse parte e soggetto del sistema statuale, nella stessa tensione di quest'ultimo a trasformarsi in Impero, e cioè a far valere una propria, secolare cattolicità.
La vita culturale e politica dell'Europa è stata segnata da tali rapporti e contrasti. La Cristianità si è divisa, i conflitti al suo interno hanno fatto tutt'uno con la perenne guerra per l'egemonia tra i suoi Stati, fino al loro suicidio politico con le due Grandi Guerre. Ma che di bellum civile si trattasse, e che questo non potesse avere esito diverso, la Chiesa di Roma ne fu sempre, nella sostanza, cosciente. Ogni forma di nazionalismo o sovranismo statuale contrasta la sua natura di fondo. Il centro, l'Urbs-Roma consiste nel suo stesso irradiarsi. La determinazione territoriale assume qui un valore soltanto simbolico, essa rappresenta l'unità originaria da cui ogni differenza proviene e a cui fa ritorno. Il Globo che questa forma spirituale-politica disegna è formato dal riconoscimento pieno e reciproco delle differenze al suo interno, riconoscimento da cui non potrebbe prodursi alcuna guerra civile.
La cattolicità della Chiesa è stata segno di contraddizione rispetto alle forme che ha assunto il processo economico-politico della globalizzazione. Questo secolare contrasto è riemerso prepotente con papa Bergoglio. Ma esso riguarda ancora l'Europa? Anche dopo il crollo della respublica christiana medievale, la Chiesa cattolica ha continuato a rappresentare la Cristianità come il fattore essenziale dell'unità europea. Se una "famiglia" europea era riconoscibile nel fuoco delle stesse guerre civili che la devastavano, questo si doveva prima di tutto al suo essere cristiana. Ciò fondava la possibilità dell'efficacia anche sociale e politica della predicazione della Chiesa. Il richiamo all'unità cristiana costituiva il fondamento della critica a ogni statolatria, totalitaria e non, così come a ogni liquidazione della responsabilità politica nel governo dei processi economico-finanziari. Per la Chiesa l'Occidente europeo in tanto poteva ascoltare e assumere questa destinazione, in quanto centro della Cristianità.
Vale ancora, vale ancora almeno in parte, questo complesso di idee? Bergoglio lo ha posto drammaticamente in discussione. La cattolicità non può più avere l'Europa al centro, poiché la Cristianità europea non esprime più alcuna energia irradiante. Potrà riceverne "da lontano" e così rivitalizzarsi? Suona speranza contro ogni speranza. Oggi la sola speranza non cieca appare quella che si può riporre nelle forme extra-europee che ha assunto l'esperienza cristiana. È incredibile come le èlites politiche europee, da parte loro, si mostrino ignoranti di questo dramma, come se esso non le riguardasse. Quale mai altro collante può sostituire quello cristiano perché le nostre nazioni si riconoscano una famiglia? L'euro, il mercato, o magari la guerra alla Russia? Il dramma della Chiesa di Roma fa tutt'uno ancora una volta con quello della politica europea.
Forse un Papa che richiamasse tutti al dramma di un'Europa radicalmente scristianizzata potrebbe risvegliare qualche coscienza, mentre un Papa che venisse da ancora più lontano finirebbe forse col rappresentarne l'inesorabile epilogo. Lo Spirito illuminerà il Conclave. Nel frattempo meditiamo su immagini rivelatrici nella loro stessa spettacolare volgarità: una volta c'erano Imperatori che lottavano per affermare la propria Auctoritas contro la Chiesa, che vivevano la nobiltà, se si vuole, di questo conflitto. Ora l'indifferenza abissale del potere politico rispetto a ogni valore che non siano quelli del mercato si rispecchia perfettamente nell'icona di Trump-Papa. Essa è segno certamente di una crisi radicale della Cristianità, ma ancora più della cecità della cultura politica dell'Occidente, che crede di poter continuare a esistere al di là di ogni religione che non sia quella dello scambio e dell'indefinito sviluppo, e deride demolendole le proprie stesse fondamenta.
* in “La Stampa” del 5 maggio 2025