17 febbraio 2002
Quando la quaresima era sentita e osservata (magari con spirito legalistico, ma osservata) dai cristiani come un tempo contrassegnato da rinunce e pratiche penitenziali, vi era un’espressione gergale per indicare qualcosa di difficile e noioso: “lungo come la quaresima!”. Oggi più nessuno ricorre a questa esclamazione, semplicemente perché la quaresima non è più vissuta “a caro prezzo” come richiederebbe un tempo che vuole essere un tempo “forte”, un tempo “altro” rispetto al quotidiano, un tempo vissuto simultaneamente e insieme dai cristiani come tensione, sforzo, anelito di conversione e ritorno a Dio. Oggi abbiamo consapevolezza che un tempo analogo lo vivono i musulmani nel digiuno dall’alba al tramonto per tutto il mese di ramadan, lo vivono gli ebrei in occasione dello Yom Kippur, continuano a viverlo i cristiani di tradizione ortodossa e orientale, ma noi cristiani d’occidente non comprendiamo la specificità cristiana di questo tempo. Eppure nella liturgia della chiesa si continua ad accennare “al digiuno, alle pratiche penitenziali, all’astinenza”, manifestando così una schizofrenia tra ciò che si prega e ciò che si vive.
In verità è tempo che i cristiani, se veramente vogliono essere credenti maturi, riprendano anche una pratica profeticadella quaresima, perché anche in questo sta la “differenza cristiana” che attraverso il comportamento appare visibile, capace di narrare la speranza che abita il cuore dei credenti. Non si tratta di tornare a vivere in modo legalistico e meritorio delle “osservanze”, ma di praticare, di mettere in atto alcune opzioni che, proprio in quanto sono d’aiuto alla vita cristiana, sono anche una prassi in vista di una maggior qualità di vita umana e di convivenza sociale. Vorrei allora proporre un itinerario per la quaresima, cercando di meditare ogni domenica su un atteggiamento indicato dalla grande tradizione ecclesiale come distintivo di questo tempo forte: il leggere, l’ascoltare, il digiunare, il silenzio, la lotta spirituale, la condivisione.
Iniziamo con il leggere. Nella sua Regola, san Benedetto prevede che ogni monaco all’inizio del tempo di quaresima riceva un libro dalla biblioteca e lo “legga di seguito e interamente”, ogni giorno, al mattino presto (RB 48,14-15). Disposizione fissata in un’epoca – il v secolo – in cui i libri erano rari, al contrario dei novizi analfabeti, eppure... Recentemente anche i vescovi francesi hanno indirizzato ai cristiani una sapiente lettera proprio sull’atto del leggere: si tratta infatti di una pratica importante nella vita cristiana, non tanto di un’operazione intellettuale, ma piuttosto di uno strumento per approfondire la fede, per accogliere i doni di una tradizione ricca di conoscenza, per vincere la paura di pensare, per aprire il cuore alla novità e a ciò che è stato cercato dall’altro. Per un cristiano – consapevole che la parola di Dio è contenuta nei libri per eccellenza, la Bibbia – l’operazione del leggere diventa necessaria quasi quanto l’ascoltare: la bibbia è sacramento della Parola.
Sì, proprio perché nel nostro paese si legge poco, perché anche i cristiani leggono poco, il tempo quaresimale può essere l’occasione per dedicarsi a questo esercizio. Sono molti i libri che forniscono cibo solido per la vita cristiana, libri che sanno dare la gioia, il piacere di scoprire aspetti inesplorati dei tesori del mistero cristiano. La lettura, infatti, è sempre l’incontro di due parole: la parola fissata nella scrittura e la parola interiore del lettore. In questo senso Jean-Louis Chrétien osserva che “il corpo del lettore si fa icona di interiorità, garanzia sensibile di raccoglimento”, e Wallace Stevens arriva ad affermare che “il lettore diventa il libro e il libro legge se stesso attraverso chi si china su di esso”. Un incontro, dunque, che tende e conduce a una conoscenza sempre più profonda: solo chi conosce di più, ama anche di più e questo vale anche nella nostra relazione con il Signore. Se un cristiano decide di dedicare del tempo alla lettura mostra innanzitutto lo sforzo di organizzare, di dominare il tempo della propria giornata: già questo lottare contro il tempo, come avviene anche per fare spazio alla preghiera, è un atteggiamento anti-idolatrico. L’idolo del tempo aliena il cristiano, ma questi ordina, domina, riscatta il tempo e, quindi, lo santifica, introducendo un’operazione “altra” nella successione delle ore e predisponendosi a pensare, a lasciarsi interrogare e a cercare risposte e scoperte feconde. Sarà un arricchimento del modo personale di porsi di fronte a Dio e al mondo, sarà un insegnamento di altre prospettive da cui osservare ciò che accade attorno, sarà un confronto fecondo trala Parola, vera luce dell’intelligenza, e le parolelette: sant’Agostino pensava che “il leggere è dialogare con gli assenti” e questo accade anche nella lectio divina, dove l’Assente è invisibile ma presente e vivente più che mai.
Certo, al cuore della vita cristiana ci dev’essere la lettura della parola di Dio, quella lectio divina che permette di assaporare il vino delle sante Scritture, ma la sapienza di Dio è presente anche in tanti libri che l’incontro tra la Parola stessa e chi l’ha letta prima di noi ha ispirato. Leggere un libro significa compiere un’operazione tesa a leggere il mondo e la storia e accettare che questo anelito ha già abitato poeti, letterati, profeti, musicisti, uomini e donne diversi che hanno diversamente vissuto e diversamente scritto. Così annotava Italo Calvino: “Leggere vuol dire spogliarsi di intenzione e di ogni partito preso per essere pronti a cogliere una voce che si fa sentire quando meno ci si aspetta, una voce che viene non si sa da dove, da qualche parte al di là del libro, al di là dell’autore, al di là delle convenzioni della scrittura. Dal non detto, da quello che il mondo non ha ancora detto di sé e non ha ancora le parole per dire”. Sì, se quaresima è tempo di rinnovamento, deve essere un tempo per scrutare questo non detto, un tempo per pensare: forse è per questo che già nel v secolo si tramandava la lettura come un’azione quaresimale.
Enzo Bianchi