Avvenire, 10 gennaio 2004
di Enzo Bianchi
Se ne va un altro baluardo contro la rinascente barbarie, anzi un altro infaticabile coltivatore di civiltà: barbarie, infatti, non è l’orda scatenata all’assalto della roccaforte civilizzata, bensì il quotidiano avanzare di ciò che è incolto, grezzo, selvaggio, la desolante rivincita del terreno gerbido sul campo coltivato, sul giardino custodito con amore. Non paiano fuori luogo queste metafore agricole per ricordare un raffinato pensatore nato e cresciuto in città e che in città ha vissuto e insegnato fino all’ultimo: le radici materne di Bobbio, cui sovente faceva ritorno, affondano nell’Alto Monferrato, terra di vigneti impregnata da secoli di sapienza contadina. E dell’agricoltore, il docente di filosofia del diritto aveva la discrezione e la pazienza, la resistenza alle intemperie e la capacità di attendere e insieme anticipare le stagioni, la custodia del patrimonio del passato e la speranza in un futuro migliore.
Se ne va uno dei più lucidi esponenti di quella laicità piemontese che tanto ha dato non solo all’antifascismo e all’edificazione di una coscienza nazionale, ma anche all’etica della convivenza civile e all’apertura al dialogo tra le diverse correnti di pensiero presenti nella nostra società. Del resto, come lui stesso amava ripetere, la vera discriminante tra gli uomini non è tra fede e non fede, bensì “tra coloro che pensano e coloro che non pensano”. In questo senso ci si potrebbe rammaricare che il dialogo tra Bobbio e la presenza cristiana in Italia non si sia approfondito quanto avrebbe meritato: forse l’indugiare sull’immagine di chiesa post-tridentina conosciuta dal giovane Bobbio gli ha reso arduo in età matura cogliere fermenti e istanze presenti e attivi a partire dalla “novella pentecoste” inaugurata da papa Giovanni e dal Vaticano II; forse, quasi specularmente, alcuni ambienti ecclesiali non hanno saputo liberarsi da una facile assimilazione tra laicità e anticlericalismo. Sta di fatto che solo recentemente, su alcune tematiche come la pace e la giustizia, i due filoni di pensiero si sono ritrovati a percorrere cammini comuni, a cercare soluzioni convergenti, a capirsi in ciò che davvero stava a cuore a ciascuno.
Si è allora quasi riscoperto, in quest’uomo così “mite” – non si intitola forse Elogio della mitezza uno dei suoi saggi più preziosi? – quel “sacro sdegno” per il quale da giovane veniva dileggiato dai coetanei e da anziano veniva temuto dagli intervistatori, ma che tanto lo avvicinava alla veemenza del “profeta” che non tollera l’ingiustizia, non esita a schierarsi dalla parte del debole e difende il diritto a ogni costo perché sa che dal diritto ciascuno sarà difeso contro ogni tipo di oppressione.
Nel suo De senectute Bobbio applicava a Luigi Einaudi la tipologia dell’homo pedemontanus che, riletta oggi, pare quasi il ritratto di se stesso: “laborioso, leale, probo, di poche parole, riservato nell’espressione dei suoi sentimenti, misurato nei gesti, obbediente ma non servile, un po’ testone ma rassicurante, un po’ tardo ma fermo nei suoi principi”.
Si considerava più scrittore che oratore, eppure l’autorevolezza della sua figura veniva non tanto da parole dette o scritte, ma dall’interezza dell’uomo che stava dietro a quelle parole, dall’integrità della mente che le aveva concepite, da quel fecondo intreccio tra certezze e dubbio che solo rende accessibili anche ai più semplici l’uomo di pensiero come quello di fede. Sì, perché, come ricordava Thomas Merton, “fede vuol dire dubbio: la fede non è la soppressione del dubbio, è la vittoria sul dubbio, e il dubbio si vince passandoci in mezzo!”.
Norberto Bobbio vi è passato in mezzo da filosofo e da uomo del diritto, ma ha lasciato a tutti noi, credenti e non credenti accomunati dall’essere abitati dal dubbio e tentati dall’idolatria, una testimonianza di libertà interiore e di servizio all’umanità nelle sue miserie e nelle sue grandezze. Ci mancherà il suo aiuto nel continuare a dissodare il terreno della civiltà ma, come ci insegna una favola di Lafontaine, il tesoro che possiamo scoprire nel vasto campo della convivenza civile non è uno scrigno nascosto in qualche anfratto, ma la semplice, quotidiana fatica di chi vanga e rincalza con ostinata costanza lo stesso terreno, fino a scoprire che produrrà frutti abbondanti per tutti.