Due filosofi rilevano una condizione mai vista prima
Occorre prendere più coscienza del destino comune
La Stampa - Tuttolibri - 18 novembre 2023
di Enzo Bianchi
Negli ultimi due decenni, in maniera sempre più crescente, constatiamo che la barbarie ha fatto grandi passi e che le contraddizioni al cammino di umanizzazione sono cresciute. È necessaria quella che Pierre Rabhi definisce “insurrezione delle coscienze”, ovvero occorre reagire in queste nostre società che diventano sempre più individualiste, dure e pietrificate nei rapporti interni alla communitas, sempre più dominate dai più forti a detrimento dei più deboli. Insurrezione delle coscienze in vista di una riaffermazione della volontà di riconoscimento dell’altro e della sua dignità, di ricomporre un tessuto sociale che si è sbriciolato e, di conseguenza, rigetto dell’esclusione dell’altro, del diverso, dello sconosciuto. Questa insurrezione va praticata sul piano individuale e collettivo, perché riguarda ogni coscienza, ogni cittadino, ogni uomo e donna impegnati nella politica, ogni comunità.
Al tempo stesso, siamo tutti attraversati dalla sensazione di vivere in un mondo che è in vorticosa evoluzione scientifica e tecnologica e insieme in drammatiche degenerazioni – umanitarie, ambientali, sociali e politiche – ma soprattutto dal degrado in umanità, dalla barbarie che denuncio dilagante da almeno due decenni. Esperimentiamo un orizzonte di seno limitato e limitante, se non perfino gradualmente regrediente. La dimensione escatologica insita nell’umano è ribaltata, il tempo messianico appare rovesciato: la fine è sinonimo di eclissi, di sparizione.
Di fronte alle crisi globali come pandemie, guerre, crisi economiche che mettono in discussione il futuro dell’umanità, di fronte al futuro a dir poco incerto “è possibile umanizzare la modernità?”, si domandano il filosofo Mario Ceruti, con Edgar Morin tra i principali teorici del pensiero della complessità, insieme al saggista Francesco Bellusci in Umanizzare la modernità, Un modo nuovo di pensare il futuro, edito da Raffaello Cortina Editore.
Per Spinoza il filosofo deve intelligere, comprendere e aiutare a comprendere: “Non ridere, non lugere neque detestari sed intelligere”, non reagire emotivamente, non prendere partito, non cadere nella trappola dei manicheismi, ma cercare di comprendere. Ma per i nostri autori occorre modificare anche il modo razionalista e scientifico di comprendere noi stessi e il mondo sociale proposto da Spinoza e muoversi piuttosto verso quella comprensione che Pascal definiva di “garbuglio” e quindi vedere “l’umano come complexus di intelligenza ed erranza, di calcoli e effetti, di potenza e fragilità, di precisione e leggerezza, di adattabilità e disadattamento”. Lo sguardo complesso ante litteram di Pascal è confermato dai risultati più avanzati delle scienze ecologiche e biologiche che concepiscono gli umani come un filo particolare della trama del sistema vivente che è la Terra. I più recenti risultati della biologia contemporanea hanno condotto Isabelle Stengers a rilevare che “non siamo mai stati individui” in competizione e lotta per la sopravvivenza ma siamo su ogni scala una “generazione di collettivi di viventi intrecciati e interdipendenti”.
Per Ceruti e Bellusci l’epistemologia della complessità è un appello ad ognuno di noi ad osservare sé stesso, gli altri e la Terra per giungere alla “consapevolezza di far parte integrante del tessuto della vita quale membro della comunità globale”, che è un vero e proprio “sistema di viventi”. Questo significa costatare che l’evoluzione tecnologica investe l’umano di una più grande responsabilità e un’accresciuta obbligazione morale, dal momento che le conseguenze delle azioni umane si dilatano nello spazio e nel tempo.
La domanda da porsi è la stessa che Kant si poneva nel 1798 al termine del secolo che è stato il più segnato da guerre: il genere umano è in costante progresso verso il meglio? Se il segno dal quale Kant individuava un progresso umano verso il meglio era la Rivoluzione francese, l’evento rivelativo indice di un progresso in atto per l’umanità di oggi è “la condizione paradossale di essere diventata una minaccia per sé stessa e per il suo futuro riconfigura l’umanità planetaria come una involontaria comunità di destino. E i sentimenti di umiltà, di vulnerabilità, di solidarietà e di fraternità a livello individuale e collettivo, si accompagnano alla coscienza di un destino comune”. La finora sconosciuta possibilità di autosoppressione nutre nel genere umano l’appartenenza alla medesima comunità di destino, e al contempo alimenta la coscienza della vulnerabilità del nostro pianeta e la determinazione di preservare un futuro agli abitanti della Terra. Secondo Ceruti e Bellusci “oggi possiamo vedere nella realtà della comunità di destino planetaria, emersa sulla sfondo dell’agonia planetaria, ciò che sollecita il nuovo umanesimo e lo rigenera nella forma di umanesimo planetario”.
Per la prima volta nella sua storia, l’umanità oggi è “costretta” a uscire dalle logiche della guerra e del depauperamento incondizionato dell’ambiente. “L’uomo del futuro sarà uomo di pace o non sarà”, scriveva Ernesto Balducci, a dire che la comunità mondiale potrà nascere solo da un “semplice pactum unionis”, dal dialogo invece che dalla forza, dal discernere, dal capire e trarre lezione dall’esperienza delle crisi planetarie.
“Avrei voluto scriverei io questo libro” ha dichiarato Edgard Morin di questo lucido e profetico saggio di Cerruri e Bellusci, e con lui molti di quanto hanno a cuore il futuro di un’umanità più umana.