Il Blog di Enzo Bianchi

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Primato petrino e sinodalità dei vescovi

22/08/2024 00:00

ENZO BIANCHI

conferenze 2024,

Primato petrino e sinodalità dei vescovi

ENZO BIANCHI

Il vescovo di Roma e le forme di un servizio di carità e unità riconosciuto da tutte le chiese

Pubblicato su: Vita Pastorale  luglio 2024

 

di Enzo Bianchi

Mentre attendiamo di leggere e approfondire l’Instrumentum laboris della seconda sessione del Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre, ci pare doveroso offrire ai lettori la possibilità di una lettura riassuntiva e critica di un documento pubblicato dal Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, perché è un documento che riguarda anche la sinodalità. Infatti, il titolo è: Il vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica “Ut unum sint”. È vero che nei lavori sinodali finora non s’è mai discusso né fatto riferimento al ministero papale e forse il tema non sarà all’ordine del giorno neppure nella prossima e ultima sessione, tuttavia è significativo che questo testo entri nella discussione: infatti, non ci può essere sinodalità nella Chiesa cattolica senza una riforma dell’attuale esercizio del ministero papale. Era stato Giovanni Paolo II, nell’enciclica Ut unum sint, chiedere ai cattolici e agli altri cristiani di trovare insieme forme nelle quali il vescovo di Roma possa compiere un servizio di carità e di unità riconosciuto da tutte le Chiese (cf Ut unum sint 95). Papa Francesco fin dall’inizio del suo pontificato nell’Evangelii gaudium (2013) affermava: «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. È mia responsabilità, come vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati a un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle attuali esigenze dell’evangelizzazione” (EG 32). Francesco confessava anche che «siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello a una conversione pastorale» (ibid.).

 

Purtroppo, e va detto chiaramente, nonostante l’invito solenne di Giovanni Paolo II e la ripresa convinta

e forte di papa Francesco, le reazioni delle altre Chiese restano deludenti, soprattutto perché non ci sono state risposte ufficiali da parte delle Chiese ortodosse e orientali, con le quali si poteva pensare più facile un dialogo su primato e sinodalità. Il documento pubblicato dal Dicastero per l’unità ha come fonti le risposte delle Chiese non cattoliche occidentali, vari organismi ecumenici, dialoghi bilaterali e multilaterali con tutte le Chiese.

 

Certamente è una sintesi oggettiva dei recenti sviluppi ecumenici sull’argomento e osa anche alla fine avanzare una breve proposta dell’assemblea plenaria del Dicastero dell’unità (2021) con suggerimenti per un rinnovato esercizio della comunione del vescovo di Roma.

 

Il documento si articola in quattro capitoli, con la proposta in appendice. C’è, innanzitutto, una riflessione ecumenica sul ministero del vescovo diRoma che raccoglie le risposte all’invito dell’Ut unum sint. Risulta evidente la faticosa ma reale convergenza verso il bisogno di un ministero di unità di tutte le Chiese. Nel secondo capitolo si affrontano teologicamente i fondamenti del primato petrino: la rilettura dei “testi petrini”, l’episkopé a livello universale e la tradizione patristica. Si arriva anche ad affrontare il dogma del Vaticano I sull’infallibilità.

 

Per dare un saggio al lettore del confronto testimoniato in queste pagine, ricorderò almeno che sui testi biblici petrini le letture restano differenti tra i cattolici e le altre confessioni, le quali non riconoscono

unicamente a Pietro un ministero di unità nella Chiesa nascente. Anche sulla successione apostolica non c’è un accordo perché negli Atti degli apostoli alla Chiesa madre di Gerusalemme non sarebbe succeduta un’altra Chiesa madre o primaziale. E il primato della Chiesa di Pietro e Paolo è un fatto posteriore al Nuovo Testamento. Qui si richiede una comprensione convergente ma differenziata.

 

Nella terza sezione si delineano alcune prospettive per un ministero di unità in una Chiesa riunificata.

 

È per molti aspetti il compito più audace e profetico che ipotizza un’unità, una comunione plurale già realizzata tra tutte le Chiese e prospetta modi e istituti di comunione. Il primo millennio di storia delle Chiese resta ispirante, ma si accede con chiarezza e coraggio alla struttura comunitaria collegiale e personale delle Chiese, segnata da interdipendenze tra primato e sinodalità secondo il principio: “tutti”, “alcuni”, “uno”.

 

In un tale rinnovato assetto il vescovo di Roma dovrebbe mutare la forma del suo ministero mettendo in rilievo quella di patriarca dell’Occidente: egli sarebbe il primate delle Chiese occidentali che conserverebbero una certa autonomia. E poi dovrebbe essere più realmente il vescovo di Roma, direttamente vescovo senza vicari, per mostrare che condivide il ministero episcopale con i suoi confratelli.

 

Il cammino che viene prospettato in questa terza parte non piace a chi persegue un’interpretazione restrittiva del Vaticano II, né certamente a quelli che si sentono difensori dell’identità cattolica tridentina/ vaticana. Ma se la Chiesa si pone in ascolto dei segni dei tempi e se vuole dare al successore di Pietro il compito d’essere il servo della comunione deve, al caro prezzo della spoliazione, seguire questa via.

 

Noi cattolici dobbiamo ancora imparare a spogliarci delle ricchezze non essenziali perché è nella povertà che il successore di Pietro potrà essere accolto da tutte le Chiese come colui che ha l’incarico d’essere il servo della comunione. Oggi non potrebbe perché troppi sono gli sguardi rivolti a lui. Nella Chiesa sovente il Papa rischia d’essere causa di papolatria, una figura che oscura i patriarchi, i vescovi, le altre voci della Chiesa. E questo è insopportabile per le Chiese non cattoliche. Il ministero papale umile, mite e universale deve restare, ma non deve mai oscurare le altre figure ecclesiali, i pastori che reggono le singole Chiese. La sua voce deve confermare e raccogliere le altre voci, non sostituirle e tacitarle; la sua azione irenica dev’essere soprattutto azione di pace tra le Chiese, di riconciliazione, di correzione anche, in sintonia con tutte le Chiese. Questo esercizio del primato dovrà coniugarsi con la sinodalità dei vescovi in modo permanente e non solo in modo intermittente, come avviene ora nella Chiesa cattolica. Su questo necessario esercizio sinodale non si avanzano però proposte, né si lavora concretamente sulla partecipazione alla sinodalità del popolo diDio “infallibile in credendo”, come sovente ama ricordare papa Francesco.

 

Va, infine, messa in rilievo l’ultima parte del testo, quella delle proposte formulate dall’assemblea plenaria del Dicastero sul ministero dell’unità. Si ricorda la sussidiarietà come principio importante del primato e della sinodalità, che favorirebbe la partecipazione del popolo di Dio al processo decisionale.

 

Le altre proposte, quelle di un’ermeneutica del Vaticano II nell’orizzonte dell’ecclesiologia di comunione del Concilio e la formulazione di diverse responsabilità del Papa, capo della Chiesa cattolica, servo della comunione tra le Chiese, ministro patriarcale dell’Occidente e vescovo di Roma, sono francamente poco convincenti e non mi sembra possano essere determinanti per un accordo delle Chiese sul vescovo della Chiesa che presiede alla carità.

 

La lettura di questo testo lungo e faticoso, anche se ben redatto e in grado di attestare il cammino fatto, ci induce a pensare che un consenso attorno al ministero di unità per la Chiesa universale sia lontano.

 

Ma non voglio essere di quelli che dicono che l’unità si farà quando lo Spirito santo vorrà. L’unità si farà quando noi saremo docili allo Spirito santo che la vuole da sempre: ieri, oggi e domani! Siamo noi che dobbiamo essere obbedienti a lui. Non invochiamo nessun fatalismo, ma confessiamo il nostro peccato. Dall’inizio, dall’Ultima cena ci siamo divisi e abbiamo strappato la tunica di Cristo, abbiamo lacerato la Chiesa creando uno scandalo per quelli che vogliono credere a Cristo e lo trovano disunito.