Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

A ogni cattolicesimo il suo inferno

15/09/2024 00:00

ENZO BIANCHI

conferenze 2024,

A ogni cattolicesimo il suo inferno

ENZO BIANCHI

Un saggio storico sul luogo fisico che rappresenta le paure più ataviche dell’umanità

La Stampa - Tuttolibri  - 07 settembre 2024

 

di Enzo Bianchi

Non è facile oggi fare una riflessione sull’inferno, anche perché viene spesso dichiarata una difficoltà nel pensare questa realtà di sofferenza e di eternità voluta da Dio e da lui inflitta almeno a una parte dell’umanità, quella peccatrice, non riconciliata con lui. Dobbiamo ascoltare quanti vedono emergere nell’inferno eterno l’immagine di un Dio perverso, vendicatore, finanche sadico, quasi intravedendo un Auschwitz eterno, qualcosa che solo un potere malefico potrebbe inventare.

 

Questa difficoltà o addirittura questo rifiuto sono antichi, e in particolari epoche della storia del cristianesimo, nella modalità di uno scontro più che di un confronto tra posizioni, hanno contrapposto all’inferno la coerenza di una salvezza universale con il Dio di Gesù Cristo, e quindi hanno affermato l’infinita misericordia del Signore verso tutte le sue creature, anche quelle che hanno contraddetto la sua presenza e la sua volontà. Come non ricordare che, in certe tradizioni spirituali di alcune chiese, degli uomini e delle donne ripiene di santità hanno mostrato un amore misericordioso estremo, fino a pregare di essere mandati loro stessi all’inferno, purché tutti i loro fratelli e sorelle in umanità trovassero la salvezza e partecipassero alla beatitudine della vita eterna?

 

Isacco il Siro (VII secolo) è giunto a pregare per una salvezza cosmica, una trasfigurazione salvifica nella quale tutte le creature, sapienti o insipienti, buone o malvagie, giuste o peccatrici, potessero essere perdonate, riportate alla loro integrità e coperte dall’amore di Dio. Nel cattolicesimo italiano resta folgorante l’amore di Caterina da Siena, questa donna fatta fuoco, che scriveva: “Come potrei sopportare, o Signore, che uno solo di quelli che hai creato a tua immagine e somiglianza si perda e sfugga dalle tue mani? No, per nessuna ragione io voglio che uno solo dei miei fratelli si perda, uno solo di quelli che sono uniti a me attraverso una stessa nascita”.

 

Alla fine del XX secolo, in occidente, anche Teresa di Lisieux sentiva una grande reticenza nei confronti della pena eterna e, pensando a Gesù seduto alla tavola dei peccatori, chiedeva di poter portare lei stessa la pena della loro condanna. Tutte convinzioni che certamente non dimenticano l’affermazione della tradizione paolina: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4).

 

In Isacco, Caterina, Teresa e molti altri abitano i sentimenti di Mosè, il grande profeta, e di Paolo, l’Apostolo delle genti. Mosè, infatti, di fronte al grande peccato del suo popolo, prega Dio dicendo: “Questo popolo ha commesso un grande peccato … Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… Altrimenti, cancella me dal tuo libro che hai scritto!” (Es 32,31-32). E secondo la tradizione ebraica arriva fino ad affermare: “Signore del mondo, perisca Mosè e mille come lui, ma non si perda un’unghia di uno di Israele!”. Paolo, dal canto suo, esprime la propria solidarietà con gli ebrei suoi fratelli, dicendosi disposto a essere lui scomunicato e maledetto, separato da Cristo, se questo può giovare all’Israele che non ha riconosciuto Gesù come Messia (cf. Rm 9,1-3).

 

“Qualcuno crede ancora all’inferno?”, è questa la domanda che si è posto Matteo Al Kalak nell’epilogo del suo ultimo saggio Fuoco e fiamme, Storia e geografia dell’inferno, edito da Einaudi. Matteo Al Kalak – Ordinario di Storia moderna all’Università di Modena e Reggio Emilia – ha abituato i lettori ha seguirlo in documentatissime ricerche di storia dell’età moderna e in particolare di storia del cristianesimo che fanno compiere itinerari impegnativi ma appassionanti. Come ha già dimostrato in Mangiare Dio, Una storia dell’eucaristia (Einaudi 2021) Al Kalak possiede la non comune capacità di entrare nei dibattiti più critici che fin dal suo sorgere animano il cristianesimo, e in particolare il cattolicesimo, con i bisturi dello storico che non solo documenta, verifica, esamina ma anche valuta, misura, discerne, giudica e in questo modo offre al lettore argomenti solidi per conoscere il passato e pensare il presente.

 

Domandandosi se qualcuno crede ancora all’esistenza dell’inferno Al Kalak pone in realtà la questione della sua esistenza. Adottando il metodo della storia culturale, l’autore si concentra esclusivamente sull’inferno come luogo fisico che segue la storia dell’umanità da quando se ne ha memoria, rappresentandone plasticamente le paure più ataviche. È infatti sulla sua dimensione spaziale che da millenni si basa la lunga storia dell’inferno, una storia talmente profonda e radicata che si è fissata nelle strutture mentali ed emotive degli uomini.

 

Apprezzando personalmente la scelta di omettere volutamente il confronto sistematico con il prototipo dantesco dell’inferno, con lo scopo preciso di privilegiare altre fonti che hanno influito sull’immaginario della punizione eterna, con un’attenzione rivolta prevalentemente al cattolicesimo Al Kalak presenta e analizza una vastissima raccolte di prediche, di testi di meditazione, esercizi devoti, catechismi, oratori, cantate, poemi scritti cosmologici e astronomici, testi scientifici, pale d’altare, affreschi quadri e incisioni. Da tutto ciò è possibile comprendere ciò che è morto e ciò che è ancora vivo dell’inferno, vale a dire le strutture culturali, religiose, antropologiche e psicologiche di cui è stato ed è catalizzatore. Emerge con forza come l’oscurità del regno sotterraneo con i suoi abitanti sia scrutata e studiata in rapporto alla società dei viventi: “L’inferno come specchio del mondo, come rovesciamento della realtà, come momento di critica degli avversari politici e di coloro che mettono in discussione la sopravvivenza dell’anima”.

 

Al Kalak entra poi con grande competenza nel dibattito teologico del XX secolo e in particolare del contributo di uno dei suoi più importanti protagonisti, Han Urs von Balthasar (1905 – 1988). Per il teologo svizzero l’inferno è una possibilità reale, ma non una sicurezza oggettiva facendo intravedere la possibilità – da tradurre in speranza cristiana per tutti – che l’inferno sia vuoto. Segnando in profondità il cristianesimo contemporaneo e suscitando virulente reazioni, la visione dell’inferno balthasariana “scardinò lo sguardo cristiano sull’inferno non postulando che fosse vuoto, ma che si dovesse sperare che tale, alla fine, fosse lo scenario strappando aperture autorevolissime”, fino a giungere a papa Francesco che in una recente intervista televisiva ha auspicato “Mi piace pensare che l’inferno sia vuoto. Spero che lo sia”. Da parte mia sono convinto che ancora oggi a Von Balthasar non si perdoni di aver svelato la grande ipocrisia di quegli uomini religiosi che amo denominare “gli aguzzini di Dio”, ossia che i sostenitori della massa dei dannati e di un inferno pieno, pensano a una punizione “per gli altri” e mai per sé. La perversione di pensare che all’inferno vadano solo gli altri.

 

Il prezioso saggio di Al Kalak si conclude con una vera e propria massima: “Il cattolicesimo conserva, ha prodotto e, probabilmente, sta plasmando più di un inferno nella sua incessante trasformazione”.  Insomma, ad ogni cattolicesimo il suo inferno.