La Repubblica - 23 Settembre 2024
di Enzo Bianchi
Solo adesso arriva nella chiesa istituzionale un dibattito sulla situazione molto preoccupante del cattolicesimo in Italia. Solo chi non ha memoria non può ricordare che questa consapevolezza, alla quale alcuni erano giunti già qualche decennio fa, veniva allora giudicata dalla gerarchia come una contestazione agli assetti della chiesa. Chi osava dire che la cristianità era finita (come aveva dichiarato con voce autorevole e profetica il teologo Marie-Dominique Chenu negli anni Sessanta del Novecento) veniva richiamato ad essere coerente con l’ottica di gran parte dell’episcopato. Adesso sono i vescovi che in modo martellante annunciano la “fine della cristianità”, cioè quell’assetto sociale e culturale nei quali la chiesa era maggioranza e quasi totalità. Era l’epoca, da Costantino fino a metà del secolo scorso, nella quale l’appartenenza alla chiesa e l’appartenenza alla società civile erano un tutt’uno.
Da tale presa di coscienza nasce l’invito ai cristiani a ripensarsi minoranza e a sentirsi nella situazione della comunità primitiva, della chiesa alla sua origine. Ma trovo che questa sia una grande ingenuità: non si può tornare a vivere come le comunità del Nuovo Testamento o dei decenni pre-costantiniani. A quel tempo i cristiani vivevano in un mondo ostile e ostili alla loro fede erano giudei e pagani. La chiesa – o meglio: le diverse “fraternità”, come le chiama l’apostolo Pietro – nella diaspora mediterranea contavano nulla, erano realtà ininfluenti. Come potremmo noi oggi rivivere quella situazione?
Ma, oltre a constatare l’ingenuità dei desideri e dei propositi ecclesiali, occorre chiedersi anche com’è possibile che la chiesa si compiaccia ancora di contare nel mondo occidentale come “istituzione molto importante” per i temi della pace e della giustizia! Poi ci si rattrista perché la chiesa ha ormai quasi del tutto perso la capacità di orientare l’etica delle masse sui temi della vita e della sessualità.
Personalmente sono invece convinto che solo una spoliazione che porti ad accogliere una povertà non solo economica da parte della chiesa può garantire il permanere della fede nella nostra terra! Una spoliazione non solo morale ma rivelativa, cristologica, a immagine di Gesù che ha compiuto la sua missione sulla terra nella povertà, nell’umiltà e nella sottomissione piuttosto che nella supremazia sui poteri di questo mondo.
I giovani non sono più presenti nella chiesa (“la chiesa che manca”, secondo Armando Matteo) non perché il cristianesimo non offra cammini di spiritualità, ma perché non si fa conoscere loro chi è Gesù Cristo. Per sentire l’urgenza e la bellezza dell’annuncio di Cristo agli altri, occorre prima conoscere il Cristo, essere evangelizzati. Non è possibile continuare a pensare di evangelizzare gli altri senza chiedersi se i cristiani sono loro per primi evangelizzati! Solo la differenza cristiana può far arretrare l’indifferenza nichilista che regna nella nostra società. I cristiani devono essere fieri di annunciare che Gesù Cristo è l’unico Salvatore del mondo! Questo non significa affatto che quanti non lo conoscono o scelgono altre vie religiose non siano da lui salvati. Il Nuovo Testamento testimonia che Cristo ha dato la vita per tutti e vuole che tutti gli umani siano salvati.
Nessun esclusivismo e nessuna ingenuità. Papa Francesco, che si è chinato a baciare i piedi dei reietti di questo mondo, non si ritrova certo in entusiastiche visioni della chiesa: la vorrebbe una mendicante del Regno di Dio.