La Repubblica - 11 Novembre 2024
di Enzo Bianchi
Noi pensiamo abitualmente che gli occhi siano quelle feritoie del nostro corpo che permettono l’esercizio di uno dei cinque sensi, la vista. Osservazione vera ma insufficiente, perché gli occhi non sono solo destinati a vedere ma anche a comunicare: sono infatti eloquenti. E tra le possibilità di comunicazione c’è il pianto. È significativo che anche gli occhi dei non vedenti possono piangere.
Le lacrime compaiono inumidendo l’occhio, il quale gravido a un certo punto le lascia colare ed esse scendono sul viso e lo attraversano. Le lacrime sono misteriose, la loro sorgente è nascosta, eppure quando spuntano hanno il potere di destare sentimenti, ispirare gesti in chi ne è testimone, dicono qualcosa che è più performativo di una parola. Piangere è il gesto universale e solo umano che può esprimere tanti e diversi sentimenti: dalla disperazione alla gioia e all'esultanza. La saggezza popolare, semplice ma autentica, si esprimeva non a caso con brevi frasi: “Piangi che ti fa bene! ... Piangi che ti aiuta a resistere! ... Piangi che Dio conta le tue lacrime!”. Ma oggi si piange poco, facciamo fatica a permettere che gli altri ci vedano in pianto, anzi spesso anche nel dolore abbiamo gli “occhi secchi”: occhi secchi perché abituati a vedere spettacolarizzata la sofferenza umana, occhi secchi perché giudichiamo le lacrime un segno di debolezza.
Socrate, secondo Platone, era critico sulle lacrime dei suoi amici che assistevano al suo suicidio: solo Fedone piangeva! E nel mondo latino Marco Aurelio, il sapiente imperatore, propone l’apatia, l’atarassia come arte che vince il pianto.
No, le lacrime sono la manifestazione dei sentimenti umani, sentimenti da prendere sul serio e che necessitano di un’espressione visibile. In realtà la secchezza degli occhi, oggi attestata, fa parte di un’anestesia generale, l’indifferenza che nasce dall’abitudine a vedere lo spettacolo del male. Roland Barthes, nei suoi Frammenti di un discorso amoroso (1977), si chiedeva: “Chi scriverà la storia delle lacrime? ... Da quando gli uomini hanno smesso di piangere? Che ne è della sensibilità?”.
Eppure dovremmo saperlo: Sunt lacrimae rerum (Eneide I,462), cioè siamo immersi nelle lacrime di tutte le cose perché tutte le creature piangono... e molti, infiniti sono i motivi per piangere: dal dolore fisico a quello psichico, dal venirci incontro della morte alla caduta e al fallimento di una vita, oppure per la fine dell'amore che speravamo durasse per sempre. Dovremmo ritrovare la certezza che nessuna lacrima andrà perduta, allora ritorneremo a piangere.
Nella grande tradizione cristiana esistono anche le lacrime del pentimento: quando si diventa consapevoli di aver fatto il male offendendo o addirittura ferendo l’altro e nasce in noi il sentimento del pentimento che arriva fino al pianto, alle lacrime. Io temo che oggi questo pianto non sia più conosciuto: di fronte al male commesso si rifugge dalla responsabilità, si ha paura di portare una colpa. Si trovano scuse, si indaga con la psicologia, si tenta non di spiegare ma di giustificare ogni azione malvagia compiuta. L’ossessione della colpevolizzazione ha fatto sparire il senso della colpa. Eppure la compunzione, il riconoscimento fino al pianto, è un'esperienza decisiva per percorrere il cammino della purificazione, del cambiamento. Ma oggi solo se il male che facciamo è conosciuto proviamo vergogna, altrimenti non ce ne importa nulla e non assumiamo nessuna responsabilità.
E non dimentichiamo: l’essere umano quando è orgoglioso non piange, quando è cattivo non piange, quando è indifferente non piange.