Pubblicato su: Vita Pastorale dicembre 2024
di Enzo Bianchi
Fin dall’inizio abbiamo seguito puntualmente il processo sinodale, e quindi anche la celebrazione del sinodo nel mese di ottobre del presente anno, giungendo così alla sua conclusione e al documento finale elaborato. Sono stati almeno tre anni di impegno ecclesiale da parte di molte comunità cattoliche che hanno riposto all’iniziativa del Papa. Francesco ha voluto con tenacia un sinodo sulla “sinodalità”, un sinodo che mettesse a fuoco come una chiesa può essere sinodale e come tutta la sua attività e la sua testimonianza possano essere plasmate da questa “forma”, senza la quale la comunione resterebbe fragile e precaria. Il sinodo ha destato molte speranze, più di tutti i sinodi precedenti, sia perché si sentiva nella chiesa l’urgenza di alcuni cambiamenti, l’avvio di una riforma tante volte richiesta da Papa Francesco, sia perché per la prima volta erano stati invitati a partecipare al processo sinodale tutti i fedeli, e non solo loro ma anche “altri”, fuori dagli steccati, in modo che potessero dare suggerimenti, esprimere desideri riguardo alla presenza della chiesa nel mondo. Mai, in tutta la storia della chiesa e delle chiese, si è voluta una consultazione del genere, un così esteso ascolto. Erano talmente martellanti gli inviti all’ascolto che c’era da chiedersi se la chiesa non l’avesse mai praticato prima, mentre in realtà l’ascolto c’è sempre stato, ma in forme deboli, lacunose, non attente alle voci più flebili e meno altisonanti.
Dobbiamo confessarlo con sincerità: molti di noi erano meravigliati di questi atteggiamenti nuovi che Papa Francesco chiedeva di mettere in atto per vivere un sinodo di tutto il popolo di Dio, ritenuto il soggetto della sinodalità. Molti cattolici e le loro chiese hanno quindi deciso di parlare liberamente, in vista di una chiesa diversa, una chiesa “altrimenti”, e sono giunti a presentare le domande che da decenni attraversano il popolo di Dio .
Come cercare soluzioni all’attuale mancanza di pastori, di presbiteri, in molte comunità locali? La chiesa è edificata dall’eucaristia, è sostenuta e custodita dall'eucaristia e se manca il pastore le pecore sono disperse. Una liturgia senza il sacramento dell’eucaristia mutila il mistero cristiano e rende precaria la comunione del corpo di Cristo! Non sarebbe possibile, allora, ordinare nel presbiterato uomini di fede provata, maturi, anche se non vivono la condizione del celibato?
E quanto all’altro gravissimo e urgente problema della promozione delle donne nella chiesa, non si potrebbe per loro aprire l’accesso al diaconato? Per la chiesa cattolica rispondere a queste domande-urgenze è apparso impossibile, almeno per ora, e per paura di una contestazione nel sinodo si è giunti a un rifiuto di tale possibilità. Il Papa ha escluso queste tematiche dalla riflessione e dal dibattito sinodale vietandone la discussione come era stato già annunciato.
E va detto, erano molte le attese anche per una nuova lettura della sessualità nell'etica cattolica, perché oggi è mutata l’antropologia con la quale si leggono l’uomo e la donna, la sessualità tra loro e la sessualità in rapporti non assimilabili alla coppia tradizionale. Ma anche su questo tema è stato imposto il silenzio venendo meno alle promesse fatte e al piano di discussione annunciato.
Così si è giunti a quello che il teologo Jesús Martínez Gordo ha chiamato “fallimento“ del sinodo. Tra quanti concordano con questo giudizio c’è grande malumore, soprattutto tra le cattoliche delle chiese del Nord Europa, e resta difficile prevedere che cammino le loro chiese imboccheranno per far sì che le donne siano riconosciute nella loro dignità come gli uomini. Di fatto si registrano già molti abbandoni perché silenziosa è la fuga delle donne dalla chiesa. Ma io mi chiedo: non sarebbe possibile nella chiesa cattolica “inventare” un ministero per le donne in modo che non siano solo ausiliarie dei presbiteri? Se la chiesa nascente “inventò“ i “sette” secondo gli Atti degli apostoli, la chiesa oggi non ha forse il potere di inventare un ministero per le donne, dal momento che attualmente sembra essere loro impedito l’accesso al presbiterato? Peraltro la chiesa cattolica non può fare una concessione del genere senza condividerla con le chiese sorelle dell'ortodossia: sarebbe la fine di ogni speranza ecumenica.
Ma c’è anche grande delusione da parte di quei cattolici e quelle cattoliche che attendevano dal sinodo una parola nuova per chi vive un mutamento sessuale diverso da quello previsto e celebrato nella rivelazione biblica: non uno sguardo di pietà e di misericordia per queste persone, come in passato, ma una parola chiara di riconoscimento della loro qualità di figli e figlie di Dio, della loro dignità di battezzati come gli altri, del loro diritto a partecipare alla vita e all’economia della grazia. Una parola che metta in risalto il primato dell’amore e la grazia della fatica del vivere insieme attingendo all’amore del Signore.
È comunque nostro dovere accettare il dono che il sinodo sulla sinodalità certamente ci ha fatto e dunque recepire il sinodo significa realizzare la sinodalità nelle diverse comunità della chiesa cattolica. Non sarà un lavoro breve, né facile, perché il camminare insieme esige innanzitutto il riconoscimento dell’altro combattendo ogni tentazione di sentire nell’altro l’inferno, significa lavorare con l’altro anche quando l’altro non ci piace, significa insieme sottometterci al Vangelo e custodire il dono della pace comunitaria. Il volto della chiesa potrà allora cambiare ed essere più comunionale: è la comunione il fine della sinodalità. Proprio in questa ricezione il popolo di Dio deve mostrare la sua capacità di essere soggetto della sinodalità contro ogni pretesa di clericalismo, antico e nuovo, quello della parrocchia e quello nuovo degli esperti che purtroppo hanno influenzato eccessivamente il sinodo celebrato con la loro visione sociologica e le loro tecniche psicologiche. Spero inoltre che non si ricorra più a certi slogan, francamente ridicoli, e non si adottino ancora metodi di discussione come la “conversazione nello Spirito”, che sono svianti senza una riflessione critica e teologicamente rigorosa. C’è tanto desiderio nel popolo di Dio di ricevere documenti brevi, non prolissi, semplici nel linguaggio, senza pretese icone e senza slogan ed espressioni coniate per impressionare ma vuote, oltre che sovente illegittime.
Ma in questa ricezione non si dovrebbe dimenticare l’antica prassi dei concili regionali e rinnovarli non solo come mera applicazione delle indicazioni del sinodo generale, ma per arrivare a un ascolto della cultura e dei segni dei luoghi in cui si celebrano, per dare risposta alle domande di quelle specifiche chiese. In certe materie, come quella riguardante la morale, potrebbero tradurre le indicazioni del sinodo generale in “modo differenziato” per un “consenso differenziato”. Sarebbe salva l’unità della fede cattolica espressa dalla sede di Pietro, ma ci sarebbe posto per ciò che non la contraddice (penso alla liturgia, alla morale, al diritto) in una “armonia nelle differenze”, come ama dire Papa Francesco.
Sì, siamo sinceri, diciamo quel che sentiamo nella chiesa: questo sinodo appare deludente, ma resta tuttora il sinodo della svolta, del cambiamento da fare, il sinodo che non è più solo sinodo di vescovi ma di tutto il popolo di Dio.
Resta la constatazione che il Pastore del gregge attuale è profeta mentre vescovi, preti e popolo fanno fatica a seguirlo. Capita raramente nella storia, ma con Francesco è proprio così: lui cammina davanti a un gregge che recalcitra e non è ancora pronto a fare certi passi. E così lui deve tenere conto della situazione del gregge e non forzare il cammino, proprio perché il cammino sia fatto insieme, sia cammino sinodale!