Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Troppo odio, ripensare la fratellanza

19/01/2025 00:00

MASSIMO RECALCATI

Testi di amici 2025,

Troppo odio, ripensare la fratellanza

di Massimo Recalcati

di Massimo Recalcati*

A proposito del conflitto israeliano-palestinese diversi commentatori politici hanno fatto notare come uno degli ostacoli maggiori di fronte all’ipotesi dei Due popoli in Due Stati sia la presenza di spinte fondamentaliste di tipo religioso attive da ambo le parti. È una osservazione che condivido perché il discorso religioso quando viene sequestrato dal fanatismo fondamentalista tende sempre a imporre l’Uno sul Due. In questo senso esso sarebbe strutturalmente allergico al principio della democrazia che è invece sempre un’esperienza radicale del lutto dell’Uno nel nome del Due. Varrebbe la pena a questo proposito ricordare che il primo moto che orienta i legami tra i fratelli non è quello della fratellanza ma quello dell’odio e dell’inimicizia: l’odio è più antico dell’amore, il ripudio del fratello o della sorella più originario rispetto alla loro accoglienza. Questo per una ragione evidente: la nascita del fratello o della sorella impone un decentramento inevitabile alla vita del figlio, il quale è costretto a esporsi giocoforza al regime plurale del Due, all’impossibilità di essere un Uno tutto solo. 

 

In gioco è la difficile esperienza del lutto dell’Uno. Non è, infatti, possibile sottrarsi all’incontro traumatico con il Due, non è possibile consistere solo di se stessi. 

 

Accade, come sanno bene gli psicoanalisti, anche ai cosiddetti figli unici. Essi non solo vivono sospesi al fantasma sempre in agguato della nascita di un possibile fratello o sorella, ma molto spesso si trovano nella necessità narcisistica di ribadire costantemente la loro condizione di superiorità. 

 

Non a caso Franco Fornari, che fu mio professore all’Università Statale di Milano nei primi anni Ottanta, quando qualche studente indugiava troppo nel formulare in aula domande che assomigliavano più a veri e propri interventi, usava chiedere loro, con aria un po’ maliziosa: «Mi scusi, ma lei è figlio unico?». Sapeva bene il mio vecchio professore quanto l’esistenza di un fratello o di una sorella introduca nella vita del figlio l’esperienza benefica, sebbene traumatica, di un limite e quanto sia difficile accettarne l’esistenza. 

 

Nella prospettiva della psicoanalisi i legami fraterni o di sorellanza rischiano da una parte la fusione incestuosa, la spinta a costituire un solo tragico corpo come accade ai gemelli ginecologi raccontati da Cronenberg negli Inseparabili. L’illusione della consanguineità favorisce questa distorsione perversa: il Due sarebbe solo una manifestazione apparente della sostanza inscalfibile dell’Uno. Non a caso tutti i deliri totalitari sono ossessionati dalla negazione di ogni forma di plurilinguismo. Per un’altra parte però i fratelli e le sorelle rischiano il conflitto aperto, la lotta senza esclusione di colpi, l’aggressività inesausta di una rivalità irriducibile (Romolo e Remo, Caino e Abele, Giacobbe e Esaù, ecc). È l’altra faccia della stessa medaglia poiché sia la follia della fusione sia quella della rivalità fratricida vorrebbero sopprimere il Due. 

 

Il mito di Narciso che si specchia nella rappresentazione ideale di se stesso converge in questo senso con quello di Caino che uccide il fratello Abele mosso dall’invidia nei confronti di chi incarnava il proprio ideale. Invece di intraprendere il lutto dell’Uno imposto dall’esistenza del Due, Caino vorrebbe, infatti, cancellare per sempre il Due al fine di continuare a essere “l’unico” e il “solo” figlio. 

 

È questo uno dei complessi psichici a fondamento del fenomeno collettivo della guerra: difesa a oltranza dell’Uno di fronte alla minaccia destabilizzante del Due. Non a caso i vissuti che scaturiscono dalla nascita di un fratello e di una sorella non sono mai solo di gioia, ma evocano sempre anche l’intrusione e l’esclusione. Il fratello e la sorella incarnano, infatti, la minaccia sempre possibile della nostra sostituzione. Si tratta di una esperienza di intrusione che ha come effetto principale una espropriazione: “il mio posto è stato preso da un altro”.

 

Ma come si diviene fratelli e sorelle al di là del mito della consanguineità che sostiene l’illusione fondamentalista dell’Uno che vorrebbe escludere il Due? Come si realizza una fratellanza e una sorellanza che non siano preda dell’odio? Si tratta di realizzare un legame solidale discreto senza la pretesa che tutto sia condiviso, senza annullare l’esistenza separata dell’altro, senza voler a tutti costi costringere il reale del Due dentro il recinto chiuso dell’Uno. 

 

È quello che possiamo trovare nel gesto solo apparentemente enigmatico con il quale Esaù e Giacobbe si abbracciano lasciandosi alle spalle la lotta a morte per il loro prestigio, decidendo però di seguire due cammini differenti, di rimanere Due. 

 

Ne L’ Arminuta di Donatella Di Pietrantonio è quello che viene descritto attraverso l’amore della protagonista per una sorella la cui differenza radicale assomiglia all’estraneità anarchica del mare. Accade, insomma, ogni volta che la nostra vita sceglie la vertigine del Due rinunciando a volere fare e essere Uno con l’altro.

* in “la Repubblica” del 15 gennaio 2025