Il teologo ceco Tomáš Halík scrive lettere a un Papa immaginario sul futuro della Chiesa in Occidente
La Stampa - Tuttolibri - 18 gennaio 2025
di Enzo Bianchi
Siamo gli ultimi cristiani? È questa la domanda che si poneva alle soglie del nuovo millennio Jean-Marie Tillard in un saggio illuminante. Il grande teologo canadese era certo di una cosa: noi siamo inesorabilmente gli ultimi testimoni di un certo modo di essere cristiani, cattolici. Coinvolti nelle grandi mutazioni delle società umane in cui essa si incarna, la Chiesa è destinata inevitabilmente a mutare il suo volto e già se ne vanno delineando i nuovi tratti. Porre così radicalmente la questione se nei paesi occidentali il cristianesimo ha un futuro in altri secoli difficilmente sarebbe emerso nello spazio della cristianità, come testimonia la scarsità di opere dedicate da autori cristiani al nostro tema, a meno che non si trattasse di ore particolarmente gravi, o percepite come tali, per le sorti dell'umanità. Eppure l’attuale stagione socio-culturale ci provoca, anzi ci costringe a formulare questa domanda e a cercarvi delle risposte, sulla scia di numerosi autori, soprattutto francesi, come Stanislas Breton, Paul Valadier, Maurice Bellet, Danièle Hervieu-Léger che negli ultimi vent’anni vi hanno consacrato ricerche sociologiche, teologiche, storiche e antropologiche di grande spessore.
Confesso una forte inquietudine a proposito del futuro del cristianesimo in Europa, soprattutto perché la trasmissione della fede alle nuove generazioni è divenuta difficile, faticosa, spesso totalmente disattesa. Si è verificata una sorta di “rottura” di memoria, una frattura culturale, sicché le generazioni che oggi si affacciano alla fede mostrano di non essere più in grado di ricevere alcuna eredità cristiana e quelle adulte, per parte loro, si mostrano incapaci di “fare segno”, di insegnare il cristianesimo.
Che nel contesto delle nostre terre di antica evangelizzazione il cristianesimo attraversi una fase di grande difficoltà nessuno ormai osa più negarlo: tutt’al più vi è chi propone dei distinguo e invita ad evitare toni catastrofici, pur vedendosi costretto ad ammettere una crisi del cristianesimo. Gli elementi che inducono a tale constatazione sono sotto gli occhi di tutti: limitandoci all’Italia, vi si registra un preoccupante calo delle ordinazioni presbiterali e che dire poi della drastica diminuzione, nell'ambito della vita religiosa “attiva” o “apostolica”.
Oltre a questa evidenza riguardante i cosiddetti “quadri” della comunità cristiana, non possono essere taciuti i fenomeni che sempre più paiono interessare la sua componente laica, i credenti. Sulla basa dei più recenti dati Istat si regista una diminuzione marcata del numero di coloro che partecipano all’eucaristia domenicale. Inoltre, se fino a ieri fede, prassi e adesione alla chiesa erano elementi strettamente interrelati, definiti in modo preciso e rigoroso, oggi, in seguito a un mutamento profondo della cultura e della mentalità, i credenti hanno assunto un’altra relazione con la chiesa: è ormai comunemente diffusa una rivendicazione individuale di autonomia per ciò che riguarda la vita privata, idee e credenze comprese, la quale induce molti cristiani a non praticare il culto in modo regolare, senza per questo abbandonare la fede o uscire dalla chiesa. Sì, tra la comunità eucaristica e la comunità battesimale pare così essersi insinuato un gruppo difficile da definire: si potrebbe parlare di cristiani che praticano una “religiosità da pellegrini” (D. Hervieu-Léger), non accettando più l’organizzazione del tempo e dello spazio voluta dalla chiesa per vivere la fede. Costoro, che vengono anche definiti “cristiani a intermittenza”, prediligono una “religione dei momenti forti”, vivono cioè la pratica cristiana non nel ritmo tradizionale scandito dalle domeniche, ma in occasione di eventi particolari segnati dai grandi numeri come è avvenuto domenica 29 dicembre in occasione dell’apertura del Giubileo nelle singole diocesi italiane. Miglia di fedeli quella domenica ma poi chiese semideserte la domenica successiva.
Sui temi della vita della Chiesa nel contesto attuale e del futuro del cristianesimo in Occidente, da alcuni anni è emerso con forza il pensiero del teologo e filosofo Tomáš Halík. Nato a Praga nel 1948, viene espulso dall’insegnamento universitario e perseguitato come nemico del regime comunista cecoslovacco. Ordinato presbitero nel 1978, è stato esponente della cosiddetta “Chiesa sotterranea” e in seguito uno dei più stretti collaboratori del presidente Václav Havel. Oggi insegna sociologia all’Università Carlo di Praga. Dopo aver già dedicato alla situazione attuale del cristianesimo il suo libro Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di Cambiare, (2022), ora Halík con Il sogno di un nuovo mattino, Lettere al papa, (edito da Vita e Pensiero, come tutte le sue opere in Italia), non teme di raccontare il suo sogno ad occhi aperti di una Chiesa nuova, altra, diversa, nella forma di un dialogo immaginario con un papa di fantasia di nome Raffaele. In realtà, quello di Halík è un serrato confronto con papa Francesco e la sua opera di rinnovamento della Chiesa cattolica. Ispirato dal versetto della Lettera ai Romani dell’apostolo Paolo, “non conformatevi a questo tempo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente” (Rm 12,2), con grande parresia e libertà interiore, in dodici lettere confida a papa Raffaele dubbi e speranze, angosce e attese circa l’esperienza religiosa in profondo mutamento nella contemporaneità.
Tomáš Halík riconosce da subito, senza ecclesiastici infingimenti e timori, che “i mezzi tradizionali di espressione religiosa – parole, riti, istituzioni – sono uno spazio troppo ristretto per il dinamismo della vita spirituale del nostro tempo. L’offerta delle istituzioni religiose troppo stereotipata, poco comprensibile e non abbastanza convincente non tiene conto delle reali aspirazioni spirituali, dei desideri, delle domande, e dei bisogni delle persone del nostro tempo”. Attraverso le dodici lettere il teologo cieco descrive con esattezza quelle forme dell’attuale cristianesimo proposto dalla Chiesa, da lui giudicate “forme di religione patologiche e distruttive”, che scoraggiano, persone di mentalità aperta in sincera ricerca spirituale.
Nel suo immaginario epistolario con papa Raffaele Halík passa in rassegna tutti i temi più scottanti e attuali della riforma della Chiesa, in particolare gli abusi sessuali, il celibato dei preti, l’ordinazione delle donne, la riforma sinodale. Ma gli sforzi di riforma dovrebbero avere inizio con una diagnosi della vitalità spirituale dei vari ambienti della Chiesa e per questo sarebbe un grande errore limitarsi alla sola riforma istituzionale. Se è vero che il vino nuovo ha bisogno di botte nuove, “a volte ho la sensazione, caro papa Raffele, che nella nostra Chiesa ci siamo troppo concentrati sulle botti, sull’aspetto esterno, istituzionale della Chiesa …. Credo che un cambiamento positivo debba iniziare con un rinnovamento dei contenuti, solo dopo potrà avvenire un rinnovamento della forma”.
Se la parabola evangelica del seme che deve morire per portare frutto può essere applicata alle trasformazioni storiche del cristianesimo, allora “ciò che molti osservano e interpretano con timore come la scomparsa del cristianesimo è solo il necessario seccarsi del seme. A volte ho l’impressione che prestiamo troppa attenzione a questa morte del seme. Forse ci sfugge il fatto che in un luogo che neppure immaginiamo sta già producendo molto frutto”. Per chi, come me, non passa giorno senza domandarsi se c’è un futuro per il cristianesimo, questo libro di Tomáš Halík è una ventata di aria fresca.